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Perchè abbandonare Vinitaly sarebbe un errore (clamoroso)

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Perchè abbandonare Vinitaly sarebbe un errore clamoroso. A mio parere.

Il 16 aprile Rossana Santolin ha dialogato su Dissapore con Matteo Ascheri sulla validità della formula Vinitaly. Annunciando che quella del 2022 è stata la sua ultima fiera veronese.

Ascheri è ovviamente il Presidente del più importante Consorzio piemontese, già non presente all’appuntamento veronese.

Perchè questa opinione sul Vinitaly? Ascheri divide la critica in tre tronconi: un presunto cambiamento dell’approccio al cliente (più Zoom, meno Fiere), il costo a suo dire alto dei padiglioni, la necessità di valorizzare i territori puntando sulle visite in cantina.

Lo stesso Ascheri fu protagonista alcuni mesi fa della sostanziale esplosione di “Piemonte Land of Wine”, la realtà piemontese nata per coordinare i tanti Consorzi piemontesi del vino.

Come ha fatto notare il Prof. Michele Antonio Fino, la parte “destruens” è quindi chiara; i produttori di Langa hanno la sensazione di potercela fare da soli. E a loro parere Grandi Langhe 2022 o Barolo & Barbaresco World Opening ne sarebbero la prova.

Quello che forse manca è la strategia “costruens”, o meglio si poggia su un errore “ottico” di visione.

Premessa: Chi parla non è un produttore, non ha mai acquistato uno stand, non ha mai partecipato ad un Vinitaly come operatore. Mi occupo però di marketing e comunicazione da qualche anno.

E non investire su Vinitaly sarebbe proprio un errore di marketing.

Superando i numeri da comunicato stampa, Vinitaly è ancora oggi il principale appuntamento enologico nazionale. Non esserci, vuol dire lasciare terreno ad altri.

In una sua bella intervista a Marco Montemagno, Tomaso Trussardi ricordava che la vera complessità commerciale e comunicativa di un’azienda è il dover aggiungere sempre nuovi “pezzi” alla propria filiera di marketing.

Fiere fisiche, social, pubblicità ecc. ecc.

L’evoluzione del mercato aggiunge sempre nuovi territori da occupare, ma occupare un nuovo territorio non significa abbandonarne altri.

Se l’Italia del vino si dividesse per campanile abbandonando il più grande evento nazionale (Vinitaly), i singoli eventi regionali perderebbero vigore. Perchè i buyer sarebbero costretti a razionalizzare le proprie presenze.

E scegliere fra Piemonte, Veneto, Toscana ecc. ecc.

L’origine delle prime Fiere risale al Medioevo, e la formula è arrivata fino ad oggi per una semplice ragione: concentrare persone porta a “risparmiare” tempo e capacità cognitive, valorizzando l’attenzione dei buyer internazionali.

Giusto inoltre puntare sulle visite e degustazioni in cantina e su eventi ad hoc, ma non sono in contrasto con Vinitaly e soprattutto non possono sostituire un grande evento nazionale.

Per quanto riguarda i “costi” riteniamo che un Consorzio come quello guidato da Ascheri abbia un “peso” politico ed economico per andare a trattare prezzi più accessibili per i suoi associati, o pensare spazi B2B più performanti.

Non voglio dilungarmi oltre nell’analisi, ma sul perchè abbandonare Vinitaly sarebbe un errore potremmo farci una lezione:

  • Mai abbandonare il campo sul più grande evento B2B nazionale;
  • Gli eventi locali anche se di alto livello devono “affiancarsi” e non sostituire in toto;
  • I Consorzi hanno anche il ruolo di Acquisto centralizzato di spazi a prezzi più accessibili;
  • Le Fiere sono anche vanità, ma uno stand bello è un “media”;
  • Va bene pensare che le Langhe siano un posto magnifico, ma prima di arrivare alla visita delle cantine si deve “fidelizzare” (in Fiera, appunto).

Da leggere anche la riflessione di Angelo Peretti sullìevoluzione dell’evento veronese.



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Dario Ujetto

Da adolescente senza computer a quasi quarantenne googleiano DOC. Ovvero: come passare dalla lettura del giornale cartaceo, alla scrittura di un blog in meno di un nano secondo. Ma mi occupo anche di marketing, cibo, libri e comunicazione.

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