Inevitabilmente la pandemia, il lockdown e le serrande abbassate per mesi hanno fatto danni a livello economico e sono stati così imprevedibili da fuorviare qualsiasi serratissimo business plan per il rientro nei bilanci annuali. Hanno colpito le PMI e le grandi superfici a Torino, senza fare sconti a nessuno. Hanno fatto sì che tutti facessimo i conti con incertezze e prospettive poco nitide.
E tra paure, chiusure continue, cassa integrazione protratta anche quelle che sembravano essere le realtà con le spalle più coperte si sono ritrovate a ripensare i format, ridimensionarsi, trovare nuovi equilibri e spazi nella ristorazione.
Noi di Eat Piemonte, abbiamo osservato i cambiamenti, i nuovi trend, il riadattarsi con più o meno successo degli attori del panorama gastronomico torinese. E ci siamo chiesti: è ancora possibile realizzare grandi superfici a Torino dopo il Covid-19 e la conseguente crisi? Per rispondere a questa domanda, abbiamo preso in esame la situazione dei tre spazi più grandi in città: EDIT, Snodo e Mercato Centrale.
A luglio 2020 è arrivata la notizia del ridimensionamento di EDIT, progetto di sharing del cibo nato nel quartiere Aurora con grandi aspettative. La struttura, realizzata a partire dall’ambizione dell’ex banchiere Marco Brignone, punta soprattutto sul pub e la birra artigianale. Per comprendere a fondo il concept EDIT (Eat-Drink-Innovate-Together) e le idee alla sua base, avevamo intervistato Giovanni Rastrelli, amministratore del progetto.
Per la ripartenza, EDIT aprirà solo tre giorni a settimana per gestire parte del personale ancora in cassa integrazione. La società rileva una perdita del 70% del fatturato. Una situazione di crisi dovuta sicuramente al Covid-19, ma anche a problemi di quartiere, come la crisi del Museo Ettore Fico.
Invece Snodo riaprirà solo a settembre 2020, dopo lo smantellamento dell’ospedale allestito negli spazi delle OGR per l’emergenza Covid-19. A inizio luglio, Luca Boffa, ideatore del progetto Snodo, lamentava una situazione di stallo e ancora 80 dipendenti in cassa integrazione. Un altro grande polo del cibo che stenta a ripartire, e che lo farà con il freno tirato.
A ripartire è stato, invece, Mercato Centrale nonostante le recenti chiusure a giugno 2020 e la nota di Umberto Montano, presidente del progetto. In estate sono stati programmati diversi appuntamenti, tra cui la Sagra Urbana, un format di degustazioni pensato per attirare la clientela e dare la possibilità di scoprire le botteghe all’interno della struttura.
Le nuove aperture annunciate sono già due. La prima vede l’arrivo de “Gli Aironi”, in collaborazione con Savini Tartufi; la seconda sarà l’apertura di Stefano Chiodi Latini, giovane chef già noto per la guida di Villa Somis e per l’affiancamento del padre Antonio Chiodi Latini, la cui cucina vegetale creativa non passa inosservata nel panorama gastronomico torinese. La ripartenza è però lenta, mancando tutto il bacino turistico della città.
In conclusione, i tre più importanti progetti del cibo 2018/2019 sono fortemente ridimensionati o in crisi. Ma ci sarà ancora spazio per altrettanto ambiziosi progetti e grandi superfici del cibo a Torino? Oppure il riadattamento economico e sociale di questa città comprometterà la presenza di nuove imprese ristorative, alberghiere e alimentari?
Prima del lockdown, Torino era un interessante palcoscenico. A dimostrazione di ciò, l’arrivo di marchi milanesi come Mi Scusi, Poke House e Matcha Cafè, in poco tempo, e l’apertura di altre importanti realtà come Starbucks e la pasticceria di Iginio Massari.
Ma ora cosa accadrà? Con una ripartenza programmata per il 2021/2022, ma costi fissi che permangono, lo spazio per grandi progetti del cibo vacilla e preoccupa. E la sopravvivenza di quelli esistenti è legata alla capacità dei singoli e delle società di continuare a investire, senza avere certezze sui ritorni effettivi. Per EDIT, Marco Brignone ha già reinvestito 12 milioni di euro e Mercato Centrale 6,5 milioni di euro.
Ma cosa succederà davvero alle grandi superfici a Torino?