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Chef ed economia: il caso Magorabin

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Trova ciò che ami e lascia che ti uccida (Charles Bukowski).

Questo post parla del rapporto fra Chef ed economia (ma non ci sono numeri!) e sfata alcuni luoghi comuni che aleggiano sulle cucine e i ristoranti stellati. E se la chiaccherata avviene con Marcello Trentini (a.k.a. Magorabin) ecco che viene citato anche Bukowski.

Il nostro obiettivo è indagare il “dietro le quinte” economico della conduzione di un’impresa di ristorazione, un’impresa che ha raggiunto il successo (l’entrata nell’Olimpo degli stellati Michelin).

Il teatro della discussione è la sala del Magorabin, un sabato mattina alle ore 10,00. A differenza del blogger autore di questo post, lo Chef è già in pista da almeno tre ore esattamente come la sua brigata e il suo personale di sala. La premessa è che, però, non parleremo di Marcello Trentini come Chef di successo e dei suoi piatti presenti, passati e futuri. Trentini sarà il nostro “Restaurant Man”.

Indagheremo Marcello Trentini come imprenditore prototipo dell’impresa ristorazione. Per rispondere ad alcune curiosità ed iniziare a capire quali sono le regole del gioco e le credenze che urge sfatare.

chef-Magorabin - crediti La Cucina Italiana.

Magorabin – crediti La Cucina Italiana.

 

CREDENZA n°1 – Menù a tripla cifra, guadagni d’oro

Chi non ha mai pensato (da profano) che dietro un menù degustazione da 120€/150€ a salire non ci siano margini enormi? Non è così. Tre cifre non si trasformano in margini sontuosi. Dietro ad ogni piatto di una cucina stellata ci sono ore, giorni (forse mesi) di esperimenti, prove. E dietro ad ogni piatto c’è lo Chef ma anche uno specialista. E ci sono fornitori (spesso di eccellenza) che non hanno gli stessi prezzi di fornitori da “battaglia”. L’esempio portato da Trentini è quello di un piatto da 60€ (di un celebre collega) che contiene 50€ solo di materia prima.

Tutti possono ben capire che, con queste premesse, la tripla cifra scritta a fondo menù non arricchisce certo l’impresa.

CREDENZA n°2 – Gli eventi in giro per il mondo rendono miliardari gli Chef

Negli ultimi anni, la popolarità del mondo “food” ha moltiplicato gli eventi legati alla cucina, all’interazione fra pubblico e Chef. Non si contano ormai gli show-cooking più o meno stellati, le trasmissioni di cucina, i reality. E in tutte queste manifestazioni (nazionali ed internazionali) il centro è lo Chef, ben sponsorizzato da aziende fornitrici di strumenti o materie prime.

Quindi, esattamente come i calciatori e gli sportivi, gli eventi rendono ricchi gli Chef. Lo abbiamo chiesto a Marcello Trentini. Nella sua impresa l’incidenza degli eventi (anche internazionali) è il 5% del fatturato.

Gli eventi esterni danno ossigeno al conto economico, ma certo non rendono milionari” – afferma Magorabin.

CREDENZA n°3 – Se lo Chef non è in cucina allora sono stato fregato!

Questo è uno dei punti cardini della critica al mondo degli Chef. E dobbiamo testimoniare che anche molte persone addette ai lavori pensano che uno Chef non presente in cucina porti danno al cliente.

Anni fa, uscì un libro del critico d’arte Francesco Bonami che si intitolava “Lo potevo fare anch’io”. Dimostrava che anche dietro alle opere di arte contemporanea più strane o più semplici alla visione del profano, esisteva un vissuto e una filosofia dell’artista assolutamente inarrivabile e non replicabile.

Così per la cucina. Chi sceglie la cucina di uno Chef “stellato” sposa anche il suo “metodo”, la sua filosofia e il suo posizionamento. E qui è bene citare un passaggio di Trentini che dice “tutti gli Chef sono cuochi, ma non tutti i cuochi sono Chef”. Ed è qui la grande differenza, anche economica, fra una realtà stellata e un ristorante normale.

La capacità di delega di uno Chef deve portare la brigata ad essere autonoma nel lavoro operativo ma a seguire, con disciplina, il metodo di lavoro. E il cliente, in ultima battuta, paga questo metodo di lavoro non la presenza “fisica” dello Chef in cucina.

“Noi nel nostro ristorante Magorabin realizziamo 360 uscite medie a cena – si infervora Trentiniveramente la gente pensa che sia io in persona a pensare, realizzare, cucinare ed impiattare tutto? Io sono la mia squadra e il team che negli anni ho creato. Il cliente paga questo lavoro”.

Ecco perchè le polemiche sulla scarsa presenza degli stellati in cucina e sul troppo presenzialismo esterno è totalmente priva di senso.

CREDENZA n°4 – Lo Chef che fa pubblicità per le patatine si svaluta

Sì, abbiamo toccato anche l’argomente “patatine”. Qui, con la sua solita ironia, Trentini è tranchant.

“Vorrei vedere quanti criticano Cracco direbbero di no a mettere la loro faccia su centinaia di camion San Carlo. Cracco ha fatto bene ad accettare, fare pubblicità non è un crimine e aiuta l’azienda ad andare avanti”.

Furono ovviamente i francesi per primi a sdoganare il rapporto Chef-grande industria, spinti anche da un sistema di GDO totalmente in mano nazionale. E noi italiani? Ci siamo arrivati dopo, magari con qualche errore di ingenuità (es. Marchesi con McDonald’s). Ma veramente si può pensare che il lavoro di un Bottura o di un Niko Romito possa essere svalutato da una sponsorhip con un marchio popolare e mainstream?

Perchè Torino è un mercato difficile per la ristorazione?

Abbiamo coinvolto Marcello Trentini in discussioni più locali. Ci interessava il suo parere sulla presunta maggior difficoltà del mercato torinese della ristorazione rispetto a Milano o Roma.

“Non è una leggenda urbana – affera il “Mago” – è la verità. Il cliente torinese non ama spendere a casa, magari la follia o la spesa fuori media la realizza fuori da Torino. Poi rispetto a città come Milano o Roma, il cliente ama meno la sperimentazione. Qui paga la tradizione, anche se una volta conquistato il torinese difficilmente tradisce”.

Tutti riconoscono alla Torino della ristorazione un inarrivabile rapporto qualità/prezzo, non per filosofia ma per necessità. Il cliente torinese (con le dovute eccezioni) non ama spendere nel cortile di casa e se lo fa è perchè l’esperienza è fuori media. Difficilmente un locale sopravvive per “moda” più di una stagione.

“Ogni città e ogni mercato ha comunque particolarità e difficoltà. Nella ristorazione non esiste il Paradiso. Anche Londra o Hong Kong possono rivelarsi la tomba di ogni ambizione. Torino è difficile e magari non permette troppi margini, ma i costi di startup sono comunque minori” – chiosa Trentini.

Fra mutui, tasse, costi fissi alle stelle, gestione del personale, attività diversificate la vita economica di uno Chef è lotta giornaliera. Chi te lo fa fare, penseranno in molti?

“Non tornerei mai indietro. Lo Chef è un lavoro duro, e molti devono sapere che non è per tutti. Sfatare i miti è importante per non creare false aspettative. Ma rimane comunque il lavoro più bello del mondo”.

CONCLUSIONI

Ringraziamo lo Chef Marcello Trentini per averci aperto casa e il suo mondo.

L’impresa ristorante (ma già lo aveva scritto Joe Bastianich nel suo “Restaurant Man”) è una sorta di attività sempre in bilico fra disastro e trionfo e che non può vivere di posizioni di rendita.

Costi fissi alle stelle (materiali, cucine, arredi, personale), incertezza, concorrenza, spesso critiche gratuite (i famosi “leoni da tastiera” che hanno in Tripadvisor la loro arena). Siamo giunti alla conclusione che aprire un locale, ancor più un ristorante che punta a diventare “stellato”, sia una scelta di vita e non un investimento economico. Il cibo e l’amore per l’eccellenza (e sicuramente anche un incentivo per l’ego) sono le prime leve per la gestione.

Non si diventerà ricchi con un ristorante, ma vivere della propria passione è il miglior traguardo.



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Dario Ujetto

Da adolescente senza computer a quasi quarantenne googleiano DOC. Ovvero: come passare dalla lettura del giornale cartaceo, alla scrittura di un blog in meno di un nano secondo. Ma mi occupo anche di marketing, cibo, libri e comunicazione.

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