Per chi bazzica il mondo della birra artigianale il nome di Andrea Turco non ha certo bisogno di presentazioni. Fondatore e curatore di Cronache di Birra, è giudice in concorsi nazionali e internazionali, docente e consulente di settore. È tra i creatori del festival Fermentazioni e organizzatore della Settimana della Birra Artigianale.
Nell’ambito di Hoppiness! 2019 a Bra, abbiamo fatto due chiacchiere con lui sul settore e sul suo libro.
Non è facile risalire alle cause dell’esplosione del settore, avvenuta a partire dalla seconda metà degli anni ’90 e poi in maniera più sostanziale negli ultimi dieci. Sicuramente il contesto culturale è stato importante, perché qualche sparuto tentativo c’era stato anche in precedenza ma senza successo, segno che i tempi ancora non erano maturi.
Credo che il fattore più importante sia stata la predisposizione del pubblico nei confronti di una bevanda diversa dall’idea consolidata di birra. Realizzata con l’obiettivo di ottenere un prodotto di qualità, legata al territorio e talvolta caratterizzata dall’uso di ingredienti locali.
Tutti concetti propri della rivoluzione enogastronomica degli ultimi decenni che sicuramente hanno contribuito alla rivoluzione della birra artigianale.
L’Industria è stata colta di sorpresa perché improvvisamente sono entrate in gioco variabili del tutto nuove, con le quali le multinazionali si erano confrontate solo raramente.
Per decenni la birra industriale ha concentrato la sua attenzione sul marketing e non sulla qualità del prodotto, mantenendo la bevanda sempre identica a sé stessa (tranne rare eccezioni), e rendendo protagonisti connotati altrimenti marginali.
Quando i birrifici artigianali hanno cominciato a parlare di una birra gustosa, di carattere, diversa da quella conosciuta da tutti, hanno attirato l’attenzione dei consumatori e poi li hanno conquistati. L’industria ha reagito con lentezza pachidermica e ha cominciato a correre ai ripari quando la birra artigianale le aveva soffiato importanti fette di mercato.
Lanciare prodotti crafty e acquistare birrifici artigianali sono le due strategie con cui le multinazionali stanno cercando di recuperare il terreno perduto. Sinceramente non so quale delle due sarà più efficace. Alcune acquisizioni mi sono sembrate frettolose e guidate più dalla voglia di emulazione che da valutazioni realmente valide; altre ben congegnate e con interessanti prospettive evolutive. Di contro alcuni prodotti crafty sono durati il tempo di una stagione, altri invece si sono rivelati ottimi colpi e hanno raggiunto un pubblico decisamente ampio. Il futuro ci dirà quale delle due strategie resisterà nel tempo.
Sicuramente le castagne, che una decina di anni fa erano utilizzate praticamente da tutti i birrifici italiani. La moda è poi scemata rapidamente, ma all’epoca si parlò delle birre alle castagne come il primo stile italiano.
Altri ingredienti caratteristici della nostra cultura brassicola sono i cereali antichi e la frutta, grazie alla straordinaria biodiversità del nostro paese.
Direi più concentrato: non tanto per le acquisizioni delle multinazionali, che difficilmente animeranno ancora il segmento italiano, quanto per la chiusura di alcuni birrifici a causa di un mercato sempre più competitivo e ostile.
Nel contempo però probabilmente si verificheranno anche fenomeni di differenziazione, con i birrifici che saranno costretti a trovare delle strade diverse e alternative per emergere dalla massa e costruirsi il loro mercato di riferimento, magari legato al consumo locale.
Teo Musso è stato un visionario in un periodo in cui la birra artigianale italiana era ancora tutta da scrivere. Oggi forse non esistono più le condizioni per l’ascesa di un personaggio così rivoluzionario come è stato il fondatore di Baladin, ma il panorama dei giovani birrai italiani è davvero roseo. Molti di loro possiedono un talento e un’attenzione ai dettagli che raramente ho riscontrato in passato, quindi possiamo essere molto ottimisti per il futuro del nostro ambiente.
Magari c’è spazio per un nuovo Teo Musso fuori dalle sale cotte. Vedo un gran fermento anche tra chi opera non direttamente nel comparto produttivo ed è lì che potrebbe emergere qualche figura interessante nei prossimi anni.