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Elisa Carucci: Loftnovantadue e il Supper Club fluido

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C’è uno spazio a Torino, Loftnovantadue, che vibra di energia londinese o berlinese. Ma è in corso Belgio 92, animato da una giovane professionista dell’industria creativa.

Il 26 ottobre un evento del Supper Club farà parte del cartellone di Diffusissima, per iscrizioni qui.

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Elisa Carucci, classe 1996. A 14 anni durante il liceo inizia a scattare fotografie e ritratti e poco dopo si ritrova a seguire le settimane della moda in giro per il mondo.

A 18 anni si trasferisce a Londra per studiare Arte, Design e Media e lavorare nell’industria creativa.

Qui scatta una forte passione per la cucina, anche grazie all’esperienza lavorativa in alcuni ristoranti londinesi e al suo personale interesse per l’educazione alimentare.

Inizia allora a fotografare il cibo e a raccontarne la filiera, osservandolo da molte prospettive diverse, studiandolo da autodidatta e collaborando con chef ed esperti di settore.

Con molti progetti in mente, torna in Italia dove si laurea in Economia e fonda il suo primo lifestyle business, Loftnovantadue, la sua casa nonché studio creativo di giorno e home restaurant di notte. 

Al momento lavora come fotografa e creative producer per clienti internazionali, come business strategist per startup nel food, e come host/CEO da Loftnovantadue.

Parallelamente, sta continuando i suoi studi con una Double Master’s Degree in International Food&Beverage Management tra Torino e Parigi.

Un personaggio del genere, fra arte e cibo, non poteva non essere intervistato.

Elisa, definisci Loftnovantadue una casa fluida. Ma puoi approfondire meglio?

Loftnovantadue è uno spazio modulare che si trasforma in base alle esigenze di utilizzo, ed è da qui che si può quindi definire fluido, in continua trasformazione.

Per molto tempo ho avuto la necessità di dar vita a un luogo che fosse sia privato che pubblico: una casa in cui abitare, uno studio in cui lavorare e un club in cui stare insieme accompagnati da cibo, vino e sorrisi.

Ho così progettato e aperto tre anni fa un habitat che potesse dare spazio a tutto ciò, attraverso una buona gestione degli spazi, della luce e dell’arredamento. 

Per chi volesse approfondire, sul sito può trovare la mappa concettuale/manifesto del loft con le tre dimensioni di studio, casa e cucina e tutti i format che nascono in ognuna di esse.

Se vieni al loft oggi, non è detto che lo troverai uguale domani: è sempre in fermento!

Puoi definire meglio come funziona il tuo Supper Club, il primo di Torino?

Ho partecipato a svariate cene conviviali in giro per il mondo e quando ho pensato di portare per la prima volta quest’idea nella mia città natale, ho deciso di farlo in chiave non soltanto sociale, ma anche enogastronomica. 

Il Supper Club è infatti tutti gli effetti un’esperienza sociale ed eno-gastronomica unica, un po’ come un concerto.

Non bisogna pensarlo come una cena in un ristorante, ma piuttosto come una serata tra amici, in una casa privata. La cucina del loft è una cucina di casa, dove chef talentuosi vengono a cucinare a rotazione per una tavolata di 20 persone, senza l’utilizzo di attrezzature professionali ma piuttosto di quelle domestiche.

E se anche dovesse venire a cucinare uno chef stellato, lo farebbe come fosse a casa propria, e non nel proprio ristorante, quindi l’esperienza è unica anche sotto questo aspetto.

I commensali, che invece non si conoscono necessariamente tra loro, fanno rete attraverso un menù ogni volta differente, seduti a tavola esplorando nuovi prodotti locali e talvolta lontani e apprezzando storia e valore di ogni ingrediente nel piatto.

Poi essendo un open space, sala e cucina sono un continuum, per cui si può sbirciare ogni preparazione, rubando tips and tricks allo chef.

Sedersi a tavola significa entrare davvero in un’atmosfera internazionale in cui cibo, cultura e convivialità vengono celebrate. Per farlo basta prenotarsi sul sito www.loftnovantadue.com all’evento successivo a calendario. 

A tuo parere, quale è il punto di incontro fra creatività e cibo?

Premetto che in questa chiacchierata, ma anche spesso nella vita di tutti i giorni, per “cibo” intendo non solo tutto ciò che si mangia, ma anche tutto ciò che si beve, dal vino al kombucha.

Vedo quindi il cibo come condivisione pura, come un elemento che passa di mano in mano dalla terra (o aria o acqua) alla tavola e che per questo va celebrato, sempre.

La creatività invece è per me flessibilità, apertura, innovazione, multidisciplinarietà.

L’incontro tra quest’ultima e il cibo è senz’altro la gente.

Qui al loft tutti sono i benvenuti, ma senza deciderlo a priori nel modo più assoluto c’è sempre stata una selezione naturale all’ingresso.

Dal giorno zero si sono avvicinate e continuano ad entrare persone che vedono e sentono chiaramente questo punto di incontro: vedono la creatività, la socialità e il cibo sullo stesso piano, con un approccio genuino, aperto e curioso. 

Quanto è importante la socialità nel progetto Loftnovantadue?

Come menzionato poco fa, le persone e quindi la socialità sono un elemento di fondamentale importanza per il loft.

Qui più che mai si festeggiano la convivialità e lo stare insieme.

Chi è di Torino sa bene quanto sia importante puntare su progetti come questo in città, per creare innovazione e fermento; seppur nascosto ai più, c’è un movimento underground trasversale tra cibo e cultura ben visibile se lo si sa cercare e Loftnovantadue ne fa parte.

Un basso fabbricato interno cortile immerso tra le piante, industriale e accogliente, che sta diventando per molti un posto del cuore.



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Dario Ujetto

Un professionista così efficiente che riesce a completare una settimana di lavoro in soli cinque giorni. Noto per la sua straordinaria capacità di trasformare le riunioni noiose in occasioni di team building involontario. Juventus e Vitello Tonnato le uniche cose che contano.

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