L’emergenza Covid-19 ha picchiato duro sul comparto della birra artigianale italiana, colpendo tutte le maglie del settore. Birrifici italiani artigianali a rischio chiusura e il 15% dei pub non accenderà più la sua insegna.
Un panorama fosco, ma fortunatamente non del tutto immobile. Perché si potrebbero aprire nuovi spazi per la birra artigianale e il delivery in molti casi ha funzionato. È quello che emerge dall’inchiesta de il Golosario, firmata da Alessandro Ricci, che ha interpellato 8 protagonisti della scena artigianale italiana.
Per i birrifici artigianali italiani c’è una forte contrazione del fatturato, mitigata in piccola parte dall’e-commerce e dal delivery. A funzionare, soprattutto, sono state la fidelizzazione con il cliente e il radicamento locale.
Ma non mancano occasioni di crescita, come sostiene Andrea Maiocchi, titolare di Brewfist, birrificio di Codogno.
“Dobbiamo adattarci alla nuova situazione con flessibilità prima degli industriali e delle crafty beer. Io ritengo che quest’ultime faticheranno a trovare spazio in un mercato così contratto, e se noi saremo bravi come movimento, potremo conquistare quote di mercato occupate dalla birra industriale”.
Teo Musso fondatore di Birra Baladin e presidente del Consorzio Birra Italiana, guarda a una maggiore identità della birra artigianale che “deve essere immediatamente riconoscibile per il consumatore e deve radicarsi come prodotto agroalimentare da filiera italiana”.
Così facendo, si potrebbero aprire nuovi spazi nella GDO dei supermercati e degli ipermercati dove i birrifici artigianali italiani occupano solo il 3%. A patto di creare corner facilmente riconoscibili per l’acquirente.
L’inchiesta de “Il Golosario” si concentra poi sui publican, ossia chi gestisce i pub e i banchi spina. Lo scenario è fosco, come spiega Antonio “Nino” Maiorano, titolare del noto locale milanese Lambiczoon.
“Chi è bravo fa il 50% del vecchio fatturato, altrimenti ci si ferma al 22-25%. Significa che ogni giorno accumuliamo un debito che varia dai 200 ai 600 euro: un microdebito quotidiano che si aggiunge al macrodebito generato nei mesi di lockdown. Moltissimi non apriranno più o saranno costretti a chiudere, verosimilmente un 15%”.
Colpa anche della colpevolizzazione della movida?
“Fa male passare per gli untori, quando evidentemente l’emergenza è nata in tutt’altri luoghi. Un messaggio doppiamente negativo perché noi abbiamo impostato tutto il nostro lavoro sull’avvicinamento sociale. L’accoglienza è il nostro business: i buoni prodotti si possono trovare ovunque, è l’accoglienza che fa la differenza”.