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Ferrua, Spyrot, Baldissero: il cortocircuito che tutti avevamo visto

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Sono un capitalista convinto, anzi un anarco-capitalista. Penso che la sana competizione migliori aziende e professionisti, e penso che il mercato faccia sempre bene. Il cliente non ha sempre ragione, ma chi compra nel lungo periodo soddisfa i propri bisogni scegliendo chi lavora meglio.

Poi però arrivano le distorsioni del mercato, e allora iniziano i guai. E i guai si portano dietro i Bandi pubblici e i conflitti di interesse.

L’inchiesta che vede al centro Luca Ferrua (ripetiamo, spetta alla Giustizia giudicare e siamo garantisti) e alcuni suoi legami con Spyrot Digital (potete leggere tutto su Dissapore) è un cortocircuito. Uno dei tanti che ci sono passati davanti agli occhi e che non abbiamo voluto vedere.

Come avviene un cortocircuito? Il cortocircuito è un anomalia dell’impianto elettrico che si genera quando due polarità (fase e neutra) vengono a contatto. Durante un cortocircuito avviene un passaggio di corrente di forte intensità, che però ha alla base un circuito danneggiato.

Le due polarità sono giornalismo e comunicazione. Che sono mestieri diversi, ma che per una serie di ragioni storiche (e non solo in Italia) sono sempre più a contatto e che danneggiano il sistema sempre di più.

Fare informazione (e giornalismo) non è fare comunicazione. O meglio, fare giornalismo non è fare comunicazione commerciale a pagamento. Ma al netto del codice deontologico dell’Ordine dei giornalisti, il confine è ormai labile e quasi invisibile. Come quello fra USA e Messico, esempio che faccio come appassionato dei libri di Don Wislow.

Ma come siamo arrivati a questa pericolosa terra di confine? Facile. La crisi del giornalismo (ripetiamo non solo in Italia) è una crisi prima di tutto imprenditoriale. I Crespi o i Frassati sono tramontati da molto tempo, e ormai l’unico editore puro rimane Urbano Cairo. In compagnia dei Monti Riffeser, ma solo in parte.

E il giornalista sta diventando un mestiere per pochi privilegiati o un hobby. Se l’imprenditore non innova e non investe sulle risorse umane e le professionalità, il sistema informazione implode. E vive una lunghissima decadenza.

Non solo il cartaceo dei giornali e dei settimanali, ma anche le guide gastronomiche non coprono più gli investimenti con le sole vendite. E il digitale, salvo pochi casi, non fa recuperare margini o fatturati. E i casi di successo come Citynews non invertono un trend.

E nella decadenza, ci si arrabatta e proliferano i furbetti.

Questo per quanta rigurda il giornalismo. Ma anche la comunicazione commerciale, il mondo delle agenzie pubblicitarie, sta vivendo cambiamenti epocali (in parte paralleli a quello del sistema informazione).

In Italia ci sono 39.000 imprese di comunicazione, di cui solo 1.334 superano il milione€ di fatturato. Le altre, con basse o bassissime barriere di entrata, competono quasi sempre sul prezzo. E in un’Italia dalle aziende di piccole dimensioni e mediamente poco “managerializzate”, il prezzo è ancora una variante appetibile per ogni imprenditore. Ovviamente ci sono casi di successo e grandi professionalità, ma il panorama generale è quello di un mercato della comunicazione ricco di piccoli attori che faticano ad imporsi e rendersi unici.

Ovviamente, per come avviene per gli editori, i budget investiti dalle aziende sono sempre più risicati o concentrati.

Ma come ci si rende unici su un mercato sempre più popolato e sempre più alla caccia di budget? Con specializzazione e verticalizzazioni, ma anche con scelte “incestuose”.

Ed è qui che due crisi o trasformazioni di mercato (informazione e agenzie) mettono sempre più in campo azioni che hanno nel conflitto di interesse il loro modus operandi. Uffici stampa che promettono articoli contando su giornalisti compiacenti, progetti di comunicazione fatti da testate giornalistiche, guide che servono solo a vendere spazi pubblicitari ecc. ecc.

Ne abbiamo visti tutti di questi esempi, vero? Luca Ferrua è però andato oltre, al netto dell’inchiesta giudiziaria e dei reati che saranno accertati o meno. In un clima generale di grande confusione dei ruoli, ha indubbiamente lucrato sul suo ruolo e sulla visibilità da direttore de “Il Gusto”.

Attraverso clienti che evidentemente erano consapevoli o meno del conflitto di interesse in atto. E con controllori (in questo caso GEDI, datore di lavoro di Ferrua) che sono parte lesa ma anche, ed in maniera inquietante, totalmente disattenti a dinamiche che sono sotto gli occhi di tutti. Perchè ricordiamo che se non fosse stato per una consigliera comunale di Baldissero (Paola Chiesa) Ferrua sarebbe ancora al suo posto, con annessi e connessi.

Veniamo poi al capitolo pubblico, riguardanti appunto le Pubbliche Amministrazioni. Ma in un mondo di bandi al ribasso, come è possibile avere ancora bandi senza gara? E pensare in buona fede di non destare almeno scalpore? E il sistema del massimo ribasso, è funzionale ad un sistema il cui obiettivo è certamente spendere bene i soldi pubblici ma anche arrivare a dei risultati utili per la collettività?

Ho posto tante domande, ho fatto le mie riflessioni. Soluzioni? Non ne ho.

Ma si dovrebbe partire da alcuni punti fermi: il giornalista non è un influencer commerciale, ed è giusto tutelare il consumatore da comunicazioni fraudolente degli influencer. Ma è anche giusto tutelare il lettore da informazioni che risentono di conflitti di interessi palesi.

Perchè a perdere siamo tutti: comunicatori, giornalisti, testate, imprese. Perchè questo mercato, vive di due cose: interesse/attenzione delle persone e fiducia. Se le perdiamo perdiamo tutti.



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Dario Ujetto

Da adolescente senza computer a quasi quarantenne googleiano DOC. Ovvero: come passare dalla lettura del giornale cartaceo, alla scrittura di un blog in meno di un nano secondo. Ma mi occupo anche di marketing, cibo, libri e comunicazione.

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