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Nicoletta Polliotto: manca cultura d’impresa

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Nicoletta Polliotto è la fondatrice di Muse Comunicazione, esperta di food & restaurant marketing e conference speaker nel mondo Travel e del Digital Food Marketing. Autrice, docente e consulente segue progetti digitali in tutta Italia. Il suo libro Digital Food Marketing, edito da Hoepli, è attualmente in vendita.

Abbiamo raggiunto Nicoletta Polliotto per un’intervista.

Cosa differenzia, in termini di Digital Marketing, la ristorazione italiana da quella anglosassone?

Le differenze sono profonde e radicali, ma più che legate al food e al diverso modo di comunicarlo e promuoverlo, penserei a una differente mentalità d’impresa.

Il capitolo 1 è dedicato allo stato dell’arte della ristorazione italiana che – dati FIPE, Coldiretti/Censis e da tutte le fonti di ricerca – è ritenuta unanimemente in crescita.

Nonostante i risultati con il segno +, la mortalità delle aziende ristorative è altissima, l’occupazione tentenna, il turn-over del personale fa girare la testa, l’indice di produttività è il più basso d’Europa.

Manca la cultura d’impresa, soprattutto nella somministrazione che, complice la contrazione economica e l’alta percentuale di disoccupazione giovanile, vede spesso l’apertura di imprese personali, magari un bar o una gastronomia con asporto, un po’ improvvisate, vissute come una ultima spiaggia per compensare la propria crisi professionale e personale.

Spesso associazioni di categoria e corporazioni istituzionali non sostengono né formano come dovrebbero. Quella che era eccellenza e maestria che ci invidiava il mondo – parlo dell’importanza di progettare l’offerta del ristorante nel mio minuzioso capitolo 2 – ora è un’accoglienza bislacca, raffazzonata e spesso bipolare. E di bipolarismo ri-parlo quando affrontiamo il tema della cultura digitale.

Le aspettative nei confronti della cultura digitale del ristoratore da parte del cliente sono sempre più alte e spesso disilluse. Il cliente vorrebbe prenotare online e ancora non ci riesce, perché il sistema non è previsto oppure perché il locale non ha sito web o non lo cura. Il ristorante non reclama le schede locali e non risulta né la sua posizione geografica corretta né il suo dato di contatto.

Quanto costa alla ristorazione oggi questa inadeguatezza? Che fine faranno le imprese della ristorazione che non investono da un lato nel miglioramento della propria offerta ristorativa e dall’altro nella propria evoluzione digitale e tecnologica?

Un altro fenomeno in crescita è quello della nuova distribuzione dei pasti che passa attraverso il digitale: 4,1 milioni di italiani ordinano regolarmente cibo a domicilio online, tramite sito web oppure App e 11 milioni usano il telefono in maniera costante per il food delivery dal ristorante o dalla pizzeria. I ristoratori lo hanno compreso? Non tutti!

Quasi la metà degli italiani dà voti e commenti online a ristoranti, trattorie o altri locali. In media i giudizi sono piuttosto positivi, quindi non si comprende come note piattaforme aggregatrici di recensioni siano ancora lo spauracchio di ristoratori smart ed evoluti. Perché il ristoratore italiano odia e teme TripAdvisor?

Di là dall’oceano oppure oltremanica la situazione è più evoluta: l’imprenditore italiano deve colmare il gap e comprendere che la situazione può essere favorevole solo per i ristoratori intraprendenti che scelgono un comportamento digitale maturo e responsabile. E che si formano.

Il caso Pescaria dimostra che un team di founder dalle competenze trasversali porta alla vittoria. Perché in Italia si fa poco sistema?

Il caso cui fai riferimento è molto interessante, tra l’altro anche un modello che dal Sud viene esportato e “trapiantato” a Milano. Lo cito come modello nel libro, quando parliamo di Visual Storytelling del ristorante: il video di Pescaria, con lo chef Lucio Mele che prepara un delizioso panino. Il messaggio risulta strepitoso tanto da vincere il premio Sky per il miglior video promozionale nel 2016.

In relazione alla tua domanda, tu sottolinei le diverse competenze dei fondatori del ristorante: quelle creative e operative dello chef e quelle dalle forti connotazioni di progetto e di digital PR del socio. Certo la formula è vincente e si vede dai risultati, con le code fuori dai locali e con le sorprendenti performance delle loro piattaforme sociali. Chi scopre come cavalcare non solo i social media ma tutto l’ecosistema digitale può fare la differenza.

Penso agli streetfooder, valorizzati dal grandissimo lavoro di Mauro Rosati. Penso a chi è passato da offline a online con un business di successo, come lo youtuber Puok e Med che ha aperto a Napoli uno strepitoso Puok Burger Store. E ancora Tartine Bakery a San Francisco… sono tutti casi di successo di cui tratto nel mio nuovo manuale.

La formula è: lavorare benissimo sulla propria offerta che, attenzione, non significa solo far bene da mangiare o essere sorridenti quando si porta il piatto, ma creare un personale, unico, memorabile percorso del gusto. Partire dall’idea che si fa concept. Strutturare obiettivi, missione e target. Definire i goal. Progettare la propria identità e comunicazione digitale. Non basta un buon piatto. Ne parlo nel capitolo 2.

Guarda, ti faccio un esempio. L’altro giorno sono passata in una via di Torino per verificare una cosa: ho cercato una gelateria che avevo provato qualche mese fa e che mi aveva fatto letteralmente impazzire. Gelato da urlo. Ma restando un po’ con il gelatiere e guardandomi attorno, facendo una piccola analisi gli avevo dato 4 mesi di vita. Purtroppo avevo ragione: il locale risultava smantellato. Mi spiace essere brutale, ma ormai passo davanti a un locale, lo guardo, lo cerco online e ne diagnostico la morte o la salubre e prospera esistenza. Sono un medico analista…. E qui chi non innova muore. Triste ma è così: se non hai un approccio olistico al tuo progetto di ristorazione, fallisci in poco tempo!

L’Italia vive di identità territoriali molto forti. Quali sono le mosse giuste per declinare il territorio al ristorante?

La grandezza della nostra nazione è sotto gli occhi di tutti ma ciascuno fa finta di niente, anzi con nonchalance afferra la zappa e si colpisce ripetutamente il piede anziché frollare queste grasse, ricche e fertili zolle: le nostre differenze ci possono unire e rafforzare.

Biodiversità, tradizioni, contaminazioni: sono tutte storie che da sole dovrebbero trasformare la nostra tradizione gastronomica in una Ferrari. E invece andiamo alla velocità di un motorino.

Declinare al territorio una cucina significa creare spessore identitario. 52 millennials su 100 si dichiarano Food Traveller e il dato è in crescita con la Gen Z (i nati dopo il 2000). Il 71% dei Food Traveller predilige il ristorante con il Menu Farm-to-table (Dati World Travel Monitor 2016).

Una bella analisi del 2013, apparsa su American Journal of Tourism, illustra in modo lampante come i millenials siano vojeur gastronomici perché sono curiosi, amano follemente condividere cibo e definirsi Food lovers. Non gradiscono cucinare, ma adorano vivere emozioni del gusto, quali esse siano. Vogliono scoprire nuovi territori, vivendo esperienze di convivialità come i locali. Condividere foto su Pinterest, instagram, Facebook aumenta consapevolezza e cultura del food. Infine alimenta il desiderio di visitare le mete gastronomiche.

Un ristorante deve fare tesoro di tutto ciò e iniziare a stabilire contatti e legami ben prima di avere il cliente con sé. Creare tribù, lavorare sulla community. Il lavoro di targeting (cura del tuo target-cliente) deve perdurare anche dopo. Devi rispondere ai post e ai commenti. Rispondere alle recensioni.

Parlare della tua terra è sempre una mossa vincente: metti in gioco i sensi, le emozioni, le conoscenze. Usa i media più coinvolgenti, quelli in cui è più facile ed efficace veicolare storie e sentimenti. Per esempio con un video.

A tuo parere qual è il miglior caso di storytelling digitale al mondo?

Al mondo, non saprei dirti. Ci sono brand che sanno raccontare in modo seriale creando ottimi cliffhanger narrativi che ti inducono dipendenza, ma son tattiche che conoscevano bene i nostri nonni che ideavano pubblicità da passare a Carosello. A mio avviso anche un piccolo progetto che sappia veicolare un’offerta sotto il cappello dei valori condivisi è vincente.

In questo momento mi viene in mente il video spot della birra Ichnusa con regia di David Holm, fotografia di Justin Henning e firmata Leo Burnett. Un capolavoro di storytelling visivo: commovente, fa leva sulla territorialità e le tradizioni, ma in modo fresco e piacevole anche per i più giovani, possiede un messaggio forte. Prodotto magistralmente. Ti mette sete e ti fa venir voglia di andare in Sardegna. Così si fa leva sull’orgoglio di una comunità senza diventare mai provinciale né campanilistico. Ecco scelgo Ichnusa.

Dai un tuo giudizio sulla comunicazione nella ristorazione piemontese

Ecco con l’ultima risposta, in una botta sola, perdo tutta la simpatia e il consenso che mi ero riuscita a guadagnare! Torino è la mia città e io son piemontese con pedigree. Città Creativa Unesco per il design (e non solo!), ha una Food Commission e l’aspirazione a divenire Città del Cibo. Possiede qualche (giovane) ristorante stellato, di pregio e di eccellenza; tra gli chef insigniti della prestigiosa onorificenza anche un pinerolese mio concittadino.

La nostra regione possiede un territorio, ma non è il solo, che è uno scrigno di bellezze gastronomiche, patrimonio Unesco (le Langhe), che sta iniziando a muoversi piuttosto bene sotto il profilo della comunicazione.

Devo dire che sotto il profilo della cultura digitale non vedo ancora brillare nessuna realtà in comunicazione originale, performante, brillante, accurata, preziosa, unica. Vedo qualche buon gesto, ma nessun progetto strutturato e completo. Siamo nella media nazionale: molti ristoranti fanno seguire la comunicazione da una food blogger, che pur brava nel foodtelling e nell’influencer marketing non è né una web designer, né una marketer.

Molti ristoranti mancano di sito web, molti non sono ottimizzati per il mobile. Pochi reclamano la scheda di Google My Business e non riflettono sulle potenzialità del Local Marketing. Qualche esempio interessante ora su Facebook ora su Instagram, ma sono in attesa di vedere come ce la caviamo passando al livello successivo!

Come non basta destrutturare un po’ un piatto per diventare un grande chef o fare un drink “sbagliato” per diventare il bartender del momento, non è sufficiente contare i follower del tuo ristorante per diventare star di digital communication.



Tag:
Dario Ujetto

Da adolescente senza computer a quasi quarantenne googleiano DOC. Ovvero: come passare dalla lettura del giornale cartaceo, alla scrittura di un blog in meno di un nano secondo. Ma mi occupo anche di marketing, cibo, libri e comunicazione.

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