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Lutfur Sarker e l’archiviazione per caporalato

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La vicenda di Lutfur Sarker, riportata ieri da Repubblica Torino e da altri mezzi di informazione, è uno spaccato su un certo mondo sommerso del retail italiano presente in tutte le nostre città: i tanti negozi chiamati dispregiativamente “Bangla”.

Le paghe basse e gli orari prolungati non sono sufficienti a integrare il reato di caporalato “anche poiché non c’è nessuna norma sul salario minimo”; e in un mondo sempre più attento a parole ai termini sostenibilità ed etica, questo tipo di negozio prospera.

Il commerciante bengalese Lutfur Sarker, titolare dell’omonima catena di minimarket H24, non finirà a processo. 

La Procura di Torino lo accusava di caporalato (articolo 603-bis del codice penale) per aver sottoposto gli addetti dei suoi negozi “a condizioni di sfruttamento anche approfittando del loro stato di bisogno”.

Nell’avviso di chiusura indagini, notificato a settembre 2022, si legge di lavoratori impiegati fino a 13 ore al giorno, sette giorni su sette, per 1.200€ di stipendio mensili.

Se invece si guarda al trattamento complessivo e non solo al monte ore, la situazione peggiore è quella di un connazionale che avrebbe lavorato 12 ore al giorno, sette giorni su sette, guadagnando appena 450€.

A novembre 2023, invece, il giudice ha disposto l’archiviazione accogliendo la richiesta del pm Francesco La Rosa, che a sua volta ricalcava alcuni ragionamenti contenuti nella memoria difensiva firmata dall’avvocato Raffaele Folino.

In sostanza nel caso non sussistono i due capisaldi della fattispecie penale così com’è stata pensata dal Parlamento (e successivamente interpretata dalla Cassazione), ovvero lo sfruttamento e l’approfittarsi di una situazione di grave inferiorità del lavoratore.

Si aggiunga, scrive Francesco La Rosa, che “in Italia non esiste nessuna forma di salario minimo inderogabile” e “la contrattazione collettiva non costituisce più un parametro di riferimento in qualche modo vincolante”, perché può essere derogata a livello aziendale.

Inizialmente gli inquirenti, messi di fronte alle buste paga da fame, avevano ipotizzato che il titolare dei minimarket H24 trattenesse il passaporto dei dipendenti per ricattarli e imporre condizioni capestro.

Una volta sentiti in qualità di persone informate sui fatti, però, i lavoratori si erano detti sereni e avevano negato di aver subito minacce o altre forme di costrizione. Inoltre avevano dichiarato di non essere in uno stato di bisogno tale da accettare compromessi sul lavoro e avevano parlato delle ore extra come di straordinari su base volontaria.

La casistica è ampia: si va da quello senza contratto a quello assunto per 2 ore al giorno cinque giorni su sette sulla carta, che invece ne lavora 12 dal lunedì alla domenica.

E ancora quello che riceve metà dello stipendio (meno di 900€) in busta e l’altra metà in nero. Nessuno di loro però ha mai denunciato il datore. Il Deputato torinese Marco Grimaldi ha ovviamente contestato l’archiviazione, definendola in contrato con la Cassazione.

Inoltre, pochi giorni fa a Chieri erano stati trovati prodotti scaduti e mal etichettati nel negozio di Chieri.

Un modello di business, quello dei “bangla”, che del resto è insostenibile; deve basarsi su costi sempre bassi. Con buona pace della Grande Distribuzione.



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Dario Ujetto

Da adolescente senza computer a quasi quarantenne googleiano DOC. Ovvero: come passare dalla lettura del giornale cartaceo, alla scrittura di un blog in meno di un nano secondo. Ma mi occupo anche di marketing, cibo, libri e comunicazione.

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