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Ceretto: Blangè, Biodinamica, Stelle e Piemonte

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Senza il rischio di passare per adulatori, il nome Ceretto è parte della storia del vino piemontese. Fondata negli anni ’30 da Riccardo Ceretto, deve a Bruno e Marcello Ceretto il boom sui mercati internazionali ed intuizioni che hanno portato valore a tutto il territorio. In primis un nome iconico, il Blangè (lanciato nel 1985).

Ad oggi seconda e terza generazione (scesa in campo a fine anni Novanta) convivono nella gestione aziendale, occupandosi di una realtà ormai ramificata (fanno parte di Ceretto – Relanghe, le importazioni dall’estero, la ristorazione con Piazza Duomo e La Piola di Alba).

Roberta Ceretto ha raccontato ad Eat Piemonte le prospettive del marchio, le aspirazioni e le ambizioni di una famiglia focalizzata su un attività che a molti appare cool e modaiola ma che è ancora sangue e sudore.

BLANGE’ (What Else?)

Smarchiamo subito l’argomento per poi passare oltre. Il Blangè con le oltre 500.000 bottiglie/anno è ancora la “cash-cow” aziendale. Negli anni Ottanta Silvio Coppola (designer famoso anche per il Tiganello di Antinori e per il suo lavoro in Olivetti) ne disegnò l’etichetta.

Nato dall’esigenza di avere un bianco di livello da affiancare alla commercializzazioni dei rossi è un vino 100% da vitigno Arneis. Blangè (non ce ne vogliano gli amici del Roero) è l’operazione commerciale a cui si deve la propria e vera esplosione del vitigno sui mercati.

Grazie alle vendite dell’etichetta, l’azienda Ceretto ha potuto finanziare altre attività e la crescita.

Bio e Biodinamica

Argomento spinoso. Alessandro Ceretto (enologo e terza generazione) colse l’occasione di introdurre pratiche sostenibili con l’acquisizione, nel 2003, di un appezzamento all’interno della Cru Cannubi (porzione di vigneto mai toccato dalla chimica).

Leggiamo dal sito di Ceretto: “i nostri vigneti sono condotti in agricoltura biologica, che evita lo sfruttamento eccessivo delle risorse naturali, continuamente analizzate e monitorate secondo un modello di sviluppo sostenibile che possa durare nel tempo, nel pieno rispetto dell’uomo e della natura. La conduzione biologica, e in alcuni casi biodinamica è stata fortemente voluta e messa in atto da Alessandro Ceretto, che nel 2010 ha deciso di intraprendere questo cammino e che ha portato i nostri vini ad ottenere con la vendemmia 2015 la Certificazione”.

Certificazione BIO e agricoltura biodinamica (in vigneto e non in cantina) non sono però un’ossessione per l’azienda. Semplicemente un adeguamento ai tempi, dopo la tremenda orgia di chimica degli anni Settanta.

Accoglienza e visite

15.000 persone visitano ogni anno le Cantine Ceretto (aperte tutto l’anno). Contatti umani che aiutano a creare cultura del vino e a rafforzare il marchio, ma anche il sistema del turismo langarolo. E con l’ascesa di Enrico Crippa e Piazza Duomo è attiva una propria e vera Ambasciata del Piemonte.

Roberta Ceretto vive questa voce di costo come investimento in “esperienza”, affiancato alle opere d’arte nelle vigne (in foto “Ovunque Proteggimi” di Valerio Berruti, a Bricco Rocche) e alle architetture.

Del resto un’azienda diventa grande e strategica per un territorio quando sa creare esternalità tangibili ed intangibili alla comunità diffusa. E in questo Ceretto è un punto di riferimento.

Mercati

Ceretto è ancora un’azienda fortemente concentrata sul mercato italiano. La gamma di rossi è venduta al 60% all’estero, con gli USA al primo posto nei mercati esteri (l’amore di Bruno Ceretto per gli Stati Uniti è cosa nota).

Paesi di lingua tedesca e Giappone sono altri punti di riferimento. Russia e Cina rimangono aree difficili. La volontà dell’azienda è affrontare il mega mercato cinese (Singapore e Hong Kong sono situazioni differenti) non come realtà singola ma come “sistema” Italia.

Aziende come Alibaba possono essere strategiche, ma non aiutano a creare quella cultura del vino indispensabile all’Italia per traghettare il proprio prodotto. Meglio puntare sul retail fisico.

Passione ristorazione

La passione dei Ceretto per la ristorazione ha consegnato alla città di Alba un tre stelle Michelin come Piazza Duomo. L’azienda ha da subito creduto in Enrico Crippa, supportando investimenti importanti.

Nell’orto di Crippa lavorano quattro risorse, le perdite dei primi anni sono state ripianate credendo in uno sviluppo futuro. E oggi, infatti, il ristorante è al 15° posto per i 50Best ed è una propria e vera Ambasciato del Gusto per  tutto il Piemonte (ricordate il discorso sulle esternalità positive?).

Ma i progetti di ristorazione dei Ceretto non vogliono fermarsi. Sono in fase di analisi altre startup, nell’ottica di affiancare le attività legate al vino e alle nocciole a quelle di “esperienza”.

Voi intanto, prenotate una visita!



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Dario Ujetto

Da adolescente senza computer a quasi quarantenne googleiano DOC. Ovvero: come passare dalla lettura del giornale cartaceo, alla scrittura di un blog in meno di un nano secondo. Ma mi occupo anche di marketing, cibo, libri e comunicazione.

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