Barolo è ormai uno dei più grandi brand piemontesi. Non dobbiamo certo spiegare in questo blog cosa evochi questo nome sul mercato, e quale patrimonio di fiducia ed intangibilità abbiano accumulato i produttori e gli operatori in questi anni di lavoro.
Ma come sempre anche le vie del successo sono lastricate di piccole e grandi discussioni strategiche sulla gestione del futuro. Soprattutto quando il successo si accompagna anche ad enormi rivalutazioni patrimoniali.
Non scopriamo certo oggi quanto vale un ettaro di terra votato alla produzione di Barolo, e cosa voglia dire ottenere per alcuni produttori l’aumento degli impianti.
Il 2017 si chiuderà con una crescita nelle vendite del 7%. Le giacenze (le riserve) sono al minimo e il vino sfuso ha raggiunto la soglia degli 8,5€/litro, mentre le uve dell’ ultima vendemmia sono state vendute a 5€/Kg.
A livello internazionale, il brand è uscito dalla nicchia degli intenditori e il Nebbiolo (di cui il Barolo è composto) è sempre più riconosciuto come uno dei più grandi vitigni al mondo.
Il Consorzio di Tutela, presieduto da Orlando Pecchenino, ha proposto alla Regione Piemonte di aumentare di 30 ettari (anno 2018) la superficie di produzione (ad oggi pari a 2.112 ettari).
Questa decisione ha scatenato una discussione fra produttori e sigle. Discussione di rilevanza strategica sulla direzione del brand e della zona in generale.
“E’ una proposta avanzata dopo un’ attenta valutazione dello stato dell’ arte – spiega il presidente Orlando Pecchenino – a fronte di 437 domande di ampliamento che ci sono arrivate, per un totale di 127 ettari, ci è sembrato opportuno alzare un poco la soglia per consentire ai nuovi produttori e alle aziende più piccole di accedere a un mercato in salute, ma senza snaturare la denominazione o creare effetti negativi sulle quotazioni.
In fin dei conti, stiamo parlando di una superficie che è poco più dell’ 1 per cento dell’ intero vigneto Barolo (pari a 2112 ettari) e di un vino che uscirà dopo il 2024″.
Piena opposizione da parte di CIA Cuneo e alcuni nome-icona come Elio Altare e Maria Teresa Mascarello.
Scrive Paolo Conterno di CIA Cuneo: “non si può parlare solo di ettari in più o in meno, correndo dietro al mercato. La zona di riferimento è fragile e va governata con una strategia lungimirante.
È incredibile aumentare gli ettari con un costo medio della bottiglia che rimane invariato. Dovremmo lavorare per far crescere la qualità e alzare il prezzo bottiglia. Con questo atteggiamento andiamo nella direzione opposta, a discapito di chi oggi fa un prodotto di qualità.
Aggiungo una piccola cosa, invece di allargare la superficie vitata perché non si cerca di vendere meglio sto benedetto Barolo, proprio ieri ascoltavo Radio Virgin ed è passata la pubblicità di Duchessa Lia, che dice “conoscete le Langhe, conoscete Duchessa Lia?”.
Con tutto il rispetto per questo marchio è davvero utile alla denominazione avere più prodotto che magari poi finirà per ingrassare i commercianti e chi fa arrivare sullo scaffale Barolo a 13/14 euro a bottiglia?”.
Giancarlo Gariglio, dal sito di Slow Wine, ha proposto una riflessione sul “governo del limite” del Barolo, ormai diventato quasi impossibile.
Il post di Gariglio apre un dibattito anche sulla possibilità che il Barolo diventi volano anche per la crescita di altre denominazioni e vitigni.
Ma la vera questione è un’altra. Una bottiglia di Barolo ha smesso di essere un alimento ed è diventato un prodotto di lusso?
Se si vuole farlo rimanere un alimento allora le logiche saranno diverse, ma se imbocca la via del lusso allora il governo del limite diventa un processo fondamentale.
Ai produttori, agli agricoltori e al Consorzio la scelta.
Crediti fotografici: VinePair.