Il Sake è una delle icone del Giappone. Un prodotto identitario che vede l’Italia come secondo mercato di consumo a livello mondiale (non ve lo aspettavate vero?).
Dati alla mano, i consumi interni giapponesi sono passati dagli 1,6 milioni di litri del 1975 agli attuali 0,7.
Al contrario quelli di Sake Premium, che costituiscono il 27% del totale, sono raddoppiati e continuano a crescere: tra il 2000 e il 2014 il volume delle vendite a valore è triplicato superando i 115 milioni di yen (85 milioni€).
Sono 1.300 produttori di Sake (pochi grandi e molti artigiani).
A Milano e a Firenze sono nati i primi sake bar, dove sperimentare nuovi modi di servire il prodotto anche e soprattutto miscelato.
E persino gli attributi green del sake si traducono in un forte potenziale premium.
Tra gli ingrediente compaiono: riso, acqua, “koji” e null’altro. Senza contare l’offerta della customer experience che il Sake promette, con una storia millenaria da raccontare.
Partiamo dalle basi. Il Sake è un fermentato e non un distillato.
Non è un quindi neanche un liquore, non è vino né birra ma una bevanda ottenuta dalla fermentazione del riso.
Esistono varietà di riso utilizzate esclusivamente per la produzione di questa bevanda alcolica.
La fermentazione è indotta da un microrganismo (una muffa) chiamato koji‐kin e dall’aggiunta di lievito (kobo).
La gradazione alcolica del sake varia dal 13% al 16%.
Si può bere caldo o freddo, a seconda della stagione e del contesto.
Arriva dal Piemonte, terra di riso e fermento, il primo sake italiano. Detto “Nero” perchè vedrà l’utilizzo del riso venere de Gli Aironi Risi&Co.
Il prodotto nasce dalla collaborazione di Affini, scuola barman EvHo e appunto Gli Aironi Risi&Co.
Verrà presentato il 21 a Palazzo Birago e il 22 all’interno dell’evento Ozio Intelligente.®: Tattoo, l’arte sulla pelle al MAO.
Link: Sake Company Milano, Sake italiano.