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Arriva la biografia di Michele Ferrero

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La notizia è l’arrivo nelle librerie della prima biografia autorizzata di uno dei più importanti fra gli imprenditori piemontesi del secolo: Michele Ferrero.

Il ritratto che esce dalle 288 pagine di Michele Ferrero. Condividere valori per creare valore, nelle librerie per i tipi dell’editore Salani (Collana Le Stanze, 18 euro), è la prima biografia autorizzata dell’industriale scomparso nel giorno di San Valentino del 2015, a un passo dal traguardo dei novant’anni (li avrebbe compiuti il 25 aprile).

Imprenditore geniale, generoso, visionario: il migliore a captare i desideri dei consumatori e trasformarli in prodotti.

Famoso anche per quelle 17 regole affisse in fabbrica per spiegare a tutti i suoi collaboratori come la ricetta del successo di un’azienda modello fosse partire dalla felicità dei dipendenti.

Il primo negozio della famiglia Ferrero

Sono passati otto anni da quando Ferrero si è spento in una clinica di Montecarlo, il giorno dopo che il figlio Giovanni gli aveva comunicato che il gruppo nato da una pasticceria in via Maestra ad Alba aveva superato Nestlé scalzando il colosso svizzero dal terzo posto nella classifica mondiale dei colossi dolciari.

E tre, di anni, prima che Salvatore Giannella, giornalista di lungo corso con una carriera iniziata nella redazione di Oggi e proseguita con la direzione de L’Europeo e di Airone, potesse concludere l’importante lavoro fatto per mandare alle stampe il ritratto dell’imprenditore: interviste e testimonianze rese all’autore dal figlio Giovanni (quest’ultima riprodotta in coda al volume, insieme a una completa appendice fotografica) e insieme a lui da una settantina tra quelli che del signor Michele furono i più stretti collaboratori.

Tra questi l’attuale presidente di Ferrero Spa e segretario generale della Fondazione, Bartolomeo Salomone, tra i talenti manageriali che l’azienda usava crescere al suo interno dopo averli scovati facendo selezione dei migliori studenti usciti dalle scuole del territorio.

Ma anche gli ormai scomparsi Francesco Paolo Fulci – amico personale di Michele, salito ai vertici dell’azienda di Alba dopo essere stato ambasciatore italiano all’Onu  – e Gianni Mercorella, che del ‘signor Michele’ fu segretario personale per oltre vent’anni.

28 capitoli nei quali scorrono innumerevoli aneddoti utili a entrare nel privato dell’imprenditore (all’anagrafe Michele Giuseppe Eugenio) sin dall’infanzia trascorsa sui banchi di scuola nel seminario dei Padri Somaschi di Cherasco, dove il figlio di Pietro e Piera Cillario Ferrero frequentò gli anni successivi alle elementari.

E dell’adolescenza trascorsa all’Istituto Tecnico “Baruffi”di Mondovì, ospite del collegio vescovile il cui rettore economo era lo zio materno Eugenio Cillario.

La biografia di Michele Ferrero: le origini

In un piccolo laboratorio nella capitale delle Langhe il padre Pietro si inventò la “Pasta Gianduja”, alternativa economica al cioccolato elaborata estraendo lo zucchero allora introvabile dalla melassa della birra e miscelandolo a una pasta densa di nocciole.

Quella di venderla era lavoro dello zio Giovanni ma divenne pure il primo incarico di un giovanissimo Michele, che quasi settant’anni dopo ricordò con emozione quei primi imbarazzati tentativi di piazzare quella crema nelle panetterie nella sua prima giornata da agente esclusivo nella vicina Asti.

Dalla “pasta Gianduja” nacque prima la Supercrema e quindi la Nutella, segnando i settant’anni di storia della Ferrero sotto l’ascendente del suo fondatore.

Se note sono le pietre miliari dell’ascesa che portò l’industria di Alba a varcare i confini del Piemonte e presto anche quelli italiani, a partire dalla realizzazione dello stabilimento di Allendorf, in Germania, molto meno sono le vicende del quotidiano vissuta dal suo fondatore e della famiglia industriale albese.

Michele Ferrero: il ritratto di un imprenditore unico

Nel libro sono ripercorse a partire insieme ad altrettante curiosità, tra giornate lavorative cui seguivano illuminazioni notturne sui nuovi prodotti ai quali lavorare il giorno successivo o la scelta di trasferire i figli ancora giovanissimi prima a in collegio a Moncalieri e quindi a Bruxelles, per metterli al sicuro durante la stagione brigatista.

Investiva milioni nelle sue aziende ed era unico per come, elaborata un’idea di prodotto, lavorasse per trovare la tecnologia utile a realizzarlo su scala industriale preservandone la massima qualità. Ma era morigerato e non sopportava gli sprechi.

Come mal digeriva le passerelle e la visibilità. “Lascia perdere, ci facciamo poi una cena con la nostre famiglie”, disse a Silvio Berlusconi declinando il suo invito a fare da ambasciatore dell’industria italiana al G7.

Solo cedendo alle insistenze dell’ambasciatore Fulci si prestò a quella che oggi viene riconosciuta come l’unica intervista da lui concessa in vita.

Un colloquio avuto con l’allora direttore de La Stampa, Mario Calabresi. Ma con l’impegno da parte di quest’ultimo a pubblicarla solo dopo la sua morte, come avvenne.

Schivo quindi, allergico ai riflettori, per timidezza e per timore di apparire vanesio, perché “le interviste sono come le ciliegie, assaggiata una non ne hai mai abbastanza”, mentre lui preferiva parlare col fare e coi suoi prodotti. 



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Dario Ujetto

Un professionista così efficiente che riesce a completare una settimana di lavoro in soli cinque giorni. Noto per la sua straordinaria capacità di trasformare le riunioni noiose in occasioni di team building involontario. Juventus e Vitello Tonnato le uniche cose che contano.

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