La fiction su Luisa Spagnoli, andata in onda su Rai Uno, esalta finalmente l’imprenditorialità italiana e i suoi protagonisti.
Dopo tante deludenti fiction agiografiche, finalmente un bel lavoro che rende popolare una delle più interessanti figure di donna imprenditrice in Italia. Visionaria e capace di cogliere le opportunità di mercato, in qualunque forma e in qualunque mercato (dal recupero degli scarti di cioccolato ai conigli).
Partita da una bottega/drogheria di prossimità (c’è uno studio che studia il rapporto fra le botteghe e l’imprenditoria familiare dai Lavazza ai Ferrero, tutti partiti da quattro mura?) Luisa Spagnoli ha gestito il lancio di Perugina (prima azienda dolciaria umbra) con soci uomini e capito come rendere accessibile l’alta moda con tessuti innovativi e lavorazioni nuove.
Nel mezzo, ha creato nursery e costruito case per i dipendenti. Insomma, una donna che ha costruito la storia di Perugia e di un buon pezzo del cibo italiano.
Siamo sicuri che Nestlè (conglomerato svizzero che possiede il marchio Perugina) abbia seguito e dato consigli alla casa di produzione. La fiction è un mezzo per rendere lo storytelling del marchio accessibile a target tradizionali, e che magari neanche conoscevano la storia dell’azienda. Azienda che incrocia i destini con un altro marchio italiano come Buitoni (l’erede del fondatore fu socio ed amante di Luisa Spagnoli) oggi diffuso in tutto il mondo e detenuto (guarda caso) dalla stessa Nestlè.
In parole povere, gli svizzeri hanno capito che aprire gli archivi delle aziende italiane significa accedere a storie che vanno solo raccontate. Chapeau a loro. Fessi noi.
La fiction ci dice anche un’altra verità. Il contenuto televisivo (fruibile in prima serata o magari in streaming) non è morto anzi gode di ottima salute. Ed è ancora LO strumento di marketing per eccellenza.
Qui articolo di Vanity Fair su Luisa Spagnoli.
Qui articolo de Il Post su Luisa Spagnoli.