Zuppa di stagione |
La Pocha, con vari condimenti di stagione |
Come nasce Laleo. Perché Torino e perché un locale di streetfood?
Laleo nasce dalla voglia, dopo tanti anni passati a fare la critica di professione, di mettermi alla prova passando dall’altra parte del bancone. Una sfida nuova in un settore che vivo da quasi vent’anni. Un locale che offrisse prodotti molto gustosi, appetitosi, golosi e fruibili, in termini economici e di immediatezza. Nella mia testa c’era un locale contemporaneo, che si spostasse dall’idea che la qualità debba passare per forza da una certa ristorazione, dal canonico primo, secondo e dolce. Una cucina che possa rispondere all’esigenza di poter consumare un pasto informale ma di qualità anche fuori casa. Per strada. Torino perché è la mia città d’elezione. Sono arrivata qui vent’anni fa per caso e ho voluto tornarci, fortemente, cinque anni fa dopo una parentesi romana. Ha qualcosa in cui mi riconosco. Molti torinesi si lamentano ma io che ho vissuto in diverse città e viaggiato molto la ritengo, in Italia, una città stimolante e vitale. Certo tutto nella vita ha sempre ampi margini di miglioramento ma per quanto mi riguarda già il fatto che in questa città ci sia il Torino Film Festival.
Porterà la sua esperienza di giornalista e blogger nella gestione di Laleo? In che modo?
In realtà è già accaduto nel senso che Laleo nasce proprio dalla mia esperienza di giornalista enogastronomica. Un lavoro che amo profondamente e che ha appagato in questi anni, e continuerà a farlo, il mio lato più curioso. Ho viaggiato molto, ho mangiato e bevuto moltissimo, ho conosciuto persone e realtà affascinanti. Da tutto questo è nata Laleo. Un locale aperto, accogliente, che respiri l’aria della Dora. Una volta la Dora era il confine tra la città e la periferia industriale. La civiltà sembrava doversi fermare sull’altra sponda. Questo ha consentito di preservare un quartiere magico, dai viali alberati di tigli, dall’omologazione. Penso a Brooklyn oppure all’East London. Quartieri impensabili fino a pochi anni fa che invece ora rappresentano la nuova città: meticcia, accogliente, autentica.
Qual è la filosofia di Laleo? Cosa vuole comunicare al suo cliente?
Ci prefiggiamo di offrire la massima qualità associata alla massima fruibilità. I nostri prodotti sono fatti per essere mangiati senza troppi pensieri. Né formali né economici. La Pocha si mangia in pochi minuti, seduti o per strada. Ma quella pasta lievita 48 ore e i sughi che la riempiono seguono le ricette della tradizione. Insomma è streetfood, se vogliamo anche fast food ma noi lo facciamo a regola d’arte, senza scorciatoie. Perché una pasta ben lievitata è anche digeribile. Lo stesso vale per le zuppe, invernali o estive, seguono le stagioni e i loro prodotti.
Ai miei fornitori chiedo affidabilità e serietà. Insomma concretezza. Viviamo in un momento di forte ideologizzazione del mondo enogastronomico. Qualcosa in cui non mi sono mai riconosciuta. L’ideologia ha il grande limite di far sposare le cause per ragioni di principio. A me invece piace sempre entrare nel merito. E fare i distinguo. C’è chi di fronte a un Cabernet Sauvignon italiano fa la smorfia per principio. Io preferisco aspettare di averlo assaggiato. Per questo le nostre farine provengono dal Mulino Sobrino di La Morra, mentre il riso per le Dorate è il Sant’Andrea di Zaccaria, azienda straordinaria della Baraggia Biellese. Due aziende di fatto, che fanno onore alla tradizione della nostra regione.