Ferran Adrià, in partnership con Lavazza, apre il primo ristorante fuori dai confini spagnoli. A Torino.
Plauso eterno ai fratelli Adrià (con Ferran il progetto sarà seguito anche da Albert) e al management della Lavazza. La notizia, data da La Repubblica, sta facendo il giro del web gastronomico. Ma il solito understandment torinese “relega” la notizia a fatto di cronaca. E di certo l’invidia milanese non aiuta la diffusione della notizia.
Fin qui la cronaca. Ma cosa ci insegna l’apertura di Adrià?
Ci insegna due cose, molto importanti. La prima è che i grandi progetti sono realizzati da grandi aziende. Lavazza coltiva rapporti e collaborazioni industriali con Ferran Adrià da anni (vedi QUI), sia a livello di ricette che di innovazione di prodotto (le famose capsule), e solo una grande azienda poteva avere la possibilità di “fidelizzare” una delle più grandi firme della ristorazione globale.
Il progetto complessivo di Lavazza, dalla costruzione del Centro Direzionale (il progetto “nuvola” di Cino Zucchi) al recupero della Cattedrale Enel (monumento di archeologia industriale) consegnerà a Torino una zona urbana riqualificata e un nuovo punto di pellegrinaggio per i “foodies”.
Il secondo insegnamento è che il “piccolo è bello” è un concetto ormai superato. L’ecosistema enogastronomico necessita di attori di tutte le dimensioni e di tutti i ruoli. Una regione come il Piemonte, per marciare e tenere il passo, ha bisogno di grandi, piccole e medie realtà. E le medie devono puntare a diventare grandi in 15-20 anni, le “startup” a reggere il mercato e così via.
Miriadi di piccoli produttori fungono da vivaio per le poche grandi realtà, che però devono esistere e mantenere saldo il loro ruolo guida sul territorio.
L’arrivo di Ferran Adrià ci insegna tutto questo. Va bene Lavazza, ma se lo chef-star atterra a Torino è anche per la presenza di tante connessioni con il territorio e di “nomi” e brand di rinomanza globale.