IT’S NOT ABOUT SELLING FOOD, IT’S ABOUT SELLING DREAMS

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Il nostro anno si chiude con un articolo di Financial Times a firma Rachel Sanderson.
L’articolo elenca una serie di operazioni che hanno visto Gruppi ed imprenditori della moda entrare in marchi ed aziende artigianali “premium” e “MadeInItaly”, e traccia un parallelismo fra mercato del lusso e del cibo di altissima qualità.
Prada, LVMH, Renzo Rosso, Marzotto (con Cà del Bosco), Ferragamo, Brunello Cuccinelli sono anche produttori di cibo. Lo sapevate?
Secondo il consulente Luigi Consiglio, esperto di Food e mercati di consumo, lusso e cibo italiano sono figli della medesima origine, dal momento che vendono tangibilità ma soprattutto un mondo immaginifico carico di storia e simboli.
Il mercato italiano dei prodotti “premium” conta 266 D.O.C e D.O.C.G. contro le 216 della Francia. L’Italia sa fare industria (citati Ferrero, Barilla, Bolton Group, Giovanni Rana) ma attira per la sua geografia biodiversificata.
Si sottolinea come il lusso sia ormai all’apice, mentre il trend globale più interessante è la necessità per i “ricchi” di tutto il mondo di mangiare bene e sano. E l’Italia con i suoi migliaia di produttori è al vertice.
Una bella sferzata di ottimismo. La dimostrazione che l’export (e si parte da una base di 27miliardi€) è la salvezza del “sistema cibo” in Italia. La finanza e i fondi di investimento non sono il diavolo, anzi. Sono il mezzo principe per aprire le aziende italiane del cibo al mondo, permettere di riorganizzare la struttura e liberare energie per nuovi prodotti.
Tanto c’è da lavorare, ma tante sono le potenzialità. Centinaia di marchi con una “heritage” eccelsa sono pronti a spiccare il volo.
E lo scrive il Financial Times, non un modesto blog.