Sostenibilità ed inclusione nella ristorazione sono possibili?

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Parto da questa modestissima ed umile presenza online per lanciare una domanda profonda: sostenibilità ed inclusione nella ristorazione sono possibili?

Due giornaliste come Chiara Cavalleris su Dissapore e Sonia Ricci su Domani hanno evidenziato l’elefante nella stanza: la riconferma delle tre stelle all’Enoteca Pinchiorri nonostante il patteggiamento di Giorgio Pinchiorri per stalking su una ex dipendente.

Dopo l’uscita del pezzo, Chiara Cavalleris ha parlato di piccati messaggi privati e veri e propri insulti ricevuti.

Una cosa gravissima, ancora di più se si considera il fatto che le giornaliste hanno sollevato invece più questioni di fondamentale importanza (anche per il futuro della professione giornalistica).

Prima questione. Nella ristorazione il concetto di “sostenibilità” attiene solo alla provenienza delle materie prime e agli investimenti green?

Seconda questione. Nel 2021, alla luce del MeToo e del dibattito mondiale sulla parità di genere, è ancora logico non coinvolgere questi aspetti nel giudizio globale di un ristorante?

Terza questione. Quali sono i confini del giornalismo enogastronomico?

Non apro il post a numeri ed indagini sui differenti temi, ci sarebbe spazio per vari corsi universitari.

Sulla prima questione, Michelin e varie altre Multinazionali parzializzano il concetto di sostenibilità solo alla parte “green”.

Ma essere “sostenibile” non vuol dire solo approvigionarsi di materia prima stagionale, limitare gli sprechi ecc. ecc.

L’idea di sviluppo sostenibile presenta una natura complessa, soggetta a numerose interpretazioni, ma la definizione universalmente riconosciuta risale al 1987 e si trova nel cosiddetto Rapporto Brundtland – dal titolo “Our common future” – il quale pone l’attenzione sui principi di equità intergenerazionale e intragenerazionale.

Il rapporto identifica per la prima volta  la sostenibilità come la condizione di uno sviluppo in grado di “assicurare il soddisfacimento dei bisogni della generazione presente senza compromettere la possibilità delle generazioni future di realizzare i propri”.

In definitiva, la sostenibilità implica “un benessere (ambientale, sociale, economico) costante e preferibilmente crescente e la prospettiva di lasciare alle generazioni future una qualità della vita non inferiore a quella attuale.

Chiara è la conclusione di dover inserire anche parità salariale di genere, accessibilità e rispetto delle risorse umane come pilastri per la sostenibilità di un ristorante.

Diverso è l’approccio di Michelin e delle sue Stelle Verdi. Non siamo nessuno per contestarli, ma una riflessione sulla scarsa “sintonizzazione” della Rossa verso il nuovo mondo la possiamo fare eccome.

E qui colleghiamo direttamente la seconda questione emersa dalle riflessioni di Cavalleris e Ricci (e non solo). Il MeToo o semplicemente la questione molestie in cucina può essere eliminata dal giudizio complessivo di un ristorante? Non credo.

In America Mario Batali ha visto la sua carriera e reputazione azzerate dalla questione molestie. Semplicemente un modello di comportamento tossico e criminale non può essere tollerato nel giudizio complessivo di una struttura.

Massimiliano Tonelli e altri giornalisti ed opinionisti non la pensano così: le colpe individuali dell’imprenditore o di uno Chef non devono ribaltarsi sul brand e il resto dello staff. Ma lo sappiamo tutti che comportamenti tossici provenienti da ruoli apicali permeano la cultura dell’organizzazione stessa.

Difficile che la Weinstein Company possa sopravvivere alle condanne di Harvey Weinstein, o che le strutture non vengano influenzate dai comportamenti criminogeni dei loro leader. Lo capirebbero anche i bambini.

Lungi da me, liberale e liberista orgoglioso, voler un clima di caccia alle streghe o da buonismo femminista.

Ma veramente noi uomini (magari padri di figlie femmine o zii orgoliosi) non ci sentiremmo a disagio nell’essere clienti di Pinchiorri?

E veramente non è giunto il momento di allargare lo sguardo anche alla gestione equilibrata di risorse umane come ambito di eccellenza per un ristorante? Perchè una gestione eccellente dei propri collaboratori non deve essere importante come l’orto bio?

Terza questione emersa.

Il problema della parità di genere e dell’accessibilità al lavoro, anche e soprattutto dopo il Covid-19, è un tema nazionale e globale e certamente merita una copertura giornalistica adeguata. Ma perchè i giornalisti che si occupano di enogastronomia non potrebbero declinare certi temi?

Enzo Vizzari, in risposta al pezzo di Sonia Ricci, avrebbe scritto sulla non pertinenza della critica gastronomica su temi quali molestie o benessere lavorativo. Ma perchè?