Lindt si mangia Caffarel: e ora?

Share

Lindt si mangia Caffarel. E di ieri la notizia del Corriere della Sera.

Ieri il gruppo Lindt&Sprüngli ha annunciato che da gennaio 2022 integrerà Caffarel tramite una fusione per incorporazione: l’azienda di Luserna San Giovanni era una consociata dal 1998.

A giugno la sua crisi sotterranea era esplosa con la richiesta di 90 esuberi, raffreddatasi con l’avvio di un anno di cassa integrazione straordinaria per i 328 dipendenti totali e, a oggi, 20 esodi tra uscite volontarie e accompagnamenti alla pensione.

Nel 2020 infatti le perdite erano precipitate da 1,5 milioni€ a 14,5 milioni€ e i ricavi scesi da 71,9 milioni€ a 47,4 milioni€.

“L’operazione è volta alla valorizzazione dei due marchi attraverso l’integrazione in una entità unica e una strategia industriale comune, conservandone al tempo stesso i tratti distintivi e il forte legame col territorio” recitava una nota di Lindt&Sprüngli.

Il sito produttivo di Luserna San Giovanni continuerà ad operare e ad essere parte di un programma di investimenti che introdurrà nuove tecnologie e processi volti a rafforzare l’innovazione.

Interpellata dal Corriere Torino, l’azienda svizzera ha aggiunto: “Il gruppo Lindt&Sprüngli rimane fortemente impegnato a sostegno di Caffarel e dello stabilimento di Luserna, al fine di garantire un futuro più solido al marchio e di continuare a investire su di esso, in quanto asset fondamentale”.

I sindacati vedono luci e ombre.

“L’integrazione darà visione e struttura economica a Caffarel, ci hanno assicurato che il brand torinese sarà distinto da Lindt che, con il suo modello organizzativo, di marketing e commerciali, potrà essere una opportunità per i gianduiotti di espandersi su mercati oggi off-limits” afferma Lara Calvani, segretaria Flai Cgil.

Fin qui la cronaca.

Ma onestamente la vicenda pare un film già visto. Una multinazionale che spolpa un’azienda locale per sterilizzarla e poi chiuderla.

Come si fa a credere che Luserna possa rimanere un sito produttivo strategico? Intanto il cervello dell’impresa vola via definitivamente dal Piemonte.

Ovviamente una razionalizzazione dei costi è l’obiettivo legittimo di tutte le imprese, ma ancora una volta a pagare dazio sarà il Piemonte e il torinese in particolare.