L’Asti Secco ha un futuro? La guerra con il Prosecco

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Asti Secco. Al netto dell’iter di approvazione (in corso) la nuova (o ennesima?) DOC piemontese servirebbe a rilanciare le quotazioni dell’Asti. Come sanno tutti, il Consorzio dell’Asti DOCG combatte da tempo contro una crisi di vendite che colpisce la versione dolce dell’Asti e del Moscato (derivanti dal vitigno Moscato Bianco).

La versione secca, appunto Asti Secco, risolverebbe secondo i promotori i problemi di mercato di questo comparto.

Fin qui il punto di vista piemontese. Ma l’Asti Secco viene visto dal Sistema Prosecco (unione dei Consorzi Conegliano Valdobbiadene Docg, Prosecco Doc e Asolo) come un attacco frontale e come un’imitazione legalizzata del proprio prodotto (uno dei più copiati al mondo, con oltre 400 tentativi di imitazione certificati).

Paolo Bosticco, Direttore del Consorzio piemontese, rimanda al mittente le accuse: “l’iter è incamminato e il 10 marzo il Comitato nazionale vini darà il suo parere conclusivo. Ma il nostro disciplinare è inattaccabile sotto l’aspetto normativo e legale. E la nostra unica preoccupazione non è stata copiare il Prosecco, ma distinguere l’Asti dolce da quello secco”.

Maurizio Martina, Ministro delle politiche agricole, conferma: “il progetto dell’Asti Secco ha buone possibilità di andare in porto. La commissione tecnica del ministero ha approvato il disciplinare della nuova Doc e ora passerà al vaglio del Comitato vitivinicolo nazionale”.

Maurizio Gily e altri, parlano apertamente di “italian sounding” fatto da italiani. E onestamente non sentiamo di dare completamente torto a questa posizione.

Non siamo esperti di vino, tantomeno quotati wine blogger. Però lanciamo una domanda/riflessione derivata dal nostro background di marketer. Il Consorzio dell’Asti DOCG ha davanti a sè una sfida epocale, il rilancio del dolce. Perchè non concentrarsi su questo obiettivo e fare sistema?

E le stesse persone che hanno fallito il lancio dell’Asti Dolce sulla Cina (definita da un viticoltore “una Caporetto”) ed evidentemente non sanno fermare l’emorragia di clienti e perdite quote di mercato (qui un post di Filippo Larganà) dovrebbero invece portare l’Asti Secco al trionfo? E, al contempo, reggere la pressione di una guerra civile italiana contro il Prosecco?