Il Giandujotto di Torino, iconico cioccolatino a forma di barca rovesciata, sta percorrendo il cammino verso la certificazione IGP (Indicazione Geografica Protetta).
Un traguardo che ne attesterebbe ufficialmente il legame con il territorio piemontese e ne codificherebbe le caratteristiche tradizionali.
La storia recente di questo percorso inizia nel marzo 2022, quando il Comitato del Giandujotto di Torino (con circa una quarantina di aziende aderenti) ha avanzato formalmente la richiesta per ottenere la certificazione IGP.
Questo riconoscimento non rappresenta un semplice bollino, ma un vero e proprio attestato di qualità che certifica il profondo legame tra un prodotto e il suo territorio d’origine.
La Regione Piemonte ha immediatamente sostenuto l’iniziativa, riconoscendo nel giandujotto un simbolo dell’identità culturale e gastronomica locale.
Tuttavia, come spesso accade nelle storie più interessanti, non sono mancati i colpi di scena.
Lindt, colosso svizzero della cioccolateria che dal 1997 possiede Caffarel (considerata l’inventrice del giandujotto nel 1865), aveva inizialmente manifestato perplessità riguardo all’iniziativa. La preoccupazione principale riguardava la possibilità di dover modificare la propria ricetta storica per aderire al disciplinare IGP.
Con il passare del tempo, la situazione si è evoluta in maniera positiva.
Caffarel ha successivamente chiarito di non opporsi alla certificazione IGP, esprimendo invece la volontà di collaborare per valorizzare questo emblema della tradizione torinese.
D’altronde, l’azienda vanta un legame storico con il prodotto: il suo “Gianduia 1865” è riconosciuto come marchio storico nazionale e viene ancora prodotto nello stabilimento originario utilizzando le pregiate nocciole Piemonte IGP.
Il disciplinare per l’ottenimento dell’IGP definisce con precisione le caratteristiche che il “vero” Giandujotto di Torino dovrà rispettare:
Dal punto di vista estetico, il giandujotto di Torino deve presentare la caratteristica forma a prisma triangolare con spigoli arrotondati, che ricorda la sagoma di una barca rovesciata o di un cappello a tricorno.
Quanto alle proprietà organolettiche, il gusto deve risultare dolce, intenso e persistente, con un finale leggermente amaro che testimonia la qualità del cacao utilizzato.
Un aspetto particolarmente interessante del percorso verso l’IGP, riguarda la tutela dei produttori storici.
Il disciplinare prevede infatti una clausola che consente a chi possiede marchi già registrati di continuare a denominare i propri prodotti “giandujotto” anche qualora non rispettassero pienamente le specifiche IGP.
In questi casi, naturalmente, non sarà possibile utilizzare il logo IGP ufficiale. Questo compromesso permetterà a realtà come Caffarel di preservare la propria identità storica pur all’interno del nuovo contesto normativo.
Attualmente, la procedura è in fase di valutazione presso il Ministero competente, dopodiché passerà all’esame delle istituzioni europee.
Le previsioni più ottimistiche indicano che entro il 2026 il Giandujotto di Torino IGP potrebbe finalmente diventare realtà, andando ad arricchire il già prestigioso patrimonio di eccellenze enogastronomiche piemontesi certificate, analogamente a quanto avviene per i rinomati vini della regione.
Questo percorso rappresenta non solo la tutela di un prodotto simbolo della tradizione dolciaria italiana, ma anche un esempio virtuoso di come sia possibile conciliare la preservazione dell’autenticità storica con le esigenze del mercato contemporaneo, in un equilibrio che valorizza tanto l’eccellenza artigianale quanto l’innovazione industriale.
Il giro d’affari di questa preziosa specialità arriva a 200 milioni di euro e riguarda un centinaio di produttori in Piemonte: si stima che il fatturato possa aumentare ancora, come è successo per il Vermouth di Torino IGP dopo il riconoscimento della tutela europea.
Ora il Gianduiotto di Torino IGP può compiere davvero l’ultimo percorso verso il suo definitivo riconoscimento.