Le campagne italiane sono da anni sotto osservazione per lo sfruttamento intensivo del lavoro, quasi sempre extracomunitario.
Cooperative di macedoni, lavoro nero, presenza di baraccopoli sembrano essere tollerate (anzi volute) dal tessuto imprenditoriale locale, al fine di risparmiare su un’attività labour-intensive come la vendemmia.
Mentre in Italia tale dibattito è completamente oscurato, in paesi come Francia, Germania e Inghilterra è argomento di discussione televisiva e un facile grimaldello per attaccare il nostro Made in Italy rampante.
Puglia, Rosarno, Campania e ora anche Piemonte vedono la presenza di immigrati dell’Est e africani per diminuire il costo del lavoro. Un bel cane che si morde la coda, un fenomeno che parte dall’eccessiva pressione fiscale sulle aziende e sul lavoro, dalla presenza di mille regole e dalla conseguente tolleranza delle Istituzioni.
Quali soluzioni? Sicuramente regole più chiare, maggiori controlli ma anche la possibilità di incentivare l’assunzione di manodopera italiana.
Ottimista Marco Gabusi, sindaco di Canelli che dice – “per ogni cittadino di Canelli assunto da una cooperativa o da un’azienda agricola, abbiamo riconosciuto 160 euro di contributo per almeno 10 giorni di lavoro. Venticinque disoccupati del posto hanno fatto la vendemmia. La gente non ha aderito in massa perché i tassi di disoccupazione sono ancora bassi. Vorremmo un’emigrazione da 30 chilometri anziché da mille. Con l’ordine pubblico e con gli incentivi metteremo fine a questo fenomeno”.
Ma lasciare alla sola politica la soluzione non è possibile; l’intero mondo che ruota intorno all’agroalimentare deve dare una risposta. Da non dimenticare, però, che lo sfruttamento del lavoro non è cosa solo italiana nè limitato al settore alimentare (vero Apple, Amazon ecc. ecc.?).