Perchè candidare Torino Capitale del cibo è velleitario

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Torino Capitale del cibo. Periodicamente, più per semplificazione giornalistica, torna questa formula. Dal sapore provinciale, capace forse di inorgoglire il cortile di casa per mezza mattinata ma sempre e comunque velleitaria.

Il cuore del cibo industriale staziona ad altre latitudini e veramente ci sentiremo di dire che come cucina di eccellenza siamo meglio di Barcellona, Copenhagen, Londra o Lione?

Un Comitato promotore ha candidato il Piemonte e Torino a Capitali mondiali. Forse più per smuovere le acque in vista del Piano di Ripartenza e Resilienza del governo Draghi che per reale successo dell’iniziativa.

Giustamente i promotori ricordano i numeri del Piemonte, pari a 50.600 aziende agricole che coltivano 900.000 ettari, di cui 49.000 a biologico.

Quasi 4.390 imprese, pari al 7% del totale nazionale, operano su questo territorio, insieme a 11.618 negozi alimentari e 28.028 bar e ristoranti. Complessivamente il comparto food piemontese impiega 242.000 addetti.

Professionisti dell’ambito che si sono formati in larga misura nei 55 istituti professionali e alberghieri dedicati ad agricoltura ed enogastronomia o grazie ai 30 corsi di laurea, 3 di dottorato e 5 master dedicati a questo mondo, capaci di produrre più di 5.500 pubblicazioni scientifiche internazionali.

Qui, dove sono state fondate la prima Università di Scienze Gastronomiche al mondo e il Salone del Gusto, sono ospitate 345 fiere del cibo, di cui 8 internazionali, e 6 musei tematici.

In parole povere ricadute per 8 miliardi di euro.

Ma bastano questi numeri per essere un riferimento globale? No.

Spesso si spendono formule giornalisticamente attrattive ma vuote di contenuto.

Ogni volta che leggete “Capitale di…” oppure “La nuova Silicon Valley…” oppure “La nuova Amazon” o “La nuova Netflix” smettete pure di leggere. Significa che l’articolo o è un redazionale o è privo di reali fondamenti.

Oggi su La Stampa, viene pubblicato il TopRank500 delle aziende torinesi a cura di PwC Italia (leader nei servizi di revisione fiscale). E’ una fotografia pre-Covid, quindi solo in parte utilizzabile per ragionamenti di sviluppo.

Ma è comunque utile per capire che sul territorio torinese, nel mondo del cibo, esiste una sola Multinazionale (ovviamente a Lavazza) una Multinazionale tascabile (Eataly).

Gli altri esempi in classifica sono in mano a gruppi esteri (Martini&Rossi, Caffarel) o sono esempi di eccellenza ma poco capitalizzati o comunque piccoli per una ribalta realmente globale.

Se pensiamo che anche Dubai sta lavorando per avere la sua Food Valley, possiamo realmente chiamarci Capitale di qualcosa?

Attenzione, non significa che Torino ed il Piemonte non possano però essere un puntino sulla mappa del cibo mondiale. Lavorando su una strategia di lungo periodo e coinvolgendo molti attori del Territorio, potremmo essere la culla di nuovi business o mercati.

E magari fra 20 anni celebrare nuove Lavazza o Ferrero.