Aggiornamento del post al 2/10/2015.
Arricchiamo il post con una precisa riflessione di Stefano Giubertoni, top manager del settore Largo Consumo:
“I numeri dicono che il concept è stato un successo , ma il business model no.
Per svilupparsi nel retail aprendo propri negozi con proprio personale servono margini altissimi, finanza e management. Farlo da soli da Mappano è impossibile perché troppo labour intensive e cash consuming.
I fondi scappano da queste opportunità. Infatti redditività poca o nulla negli ultimi anni e solo Illy è intervenuta con una operazione di portage, sperando si sviluppassero trainando le forniture di cioccolato e canditi Domori e Agrimontana. Con valutazione peraltro fuori dal creato. Saranno i Ben&Jerry italiani. Premium italian ice cream. È il destino di chi vuol fare retail in Italia: finanza e competenze specifiche non ci sono. Paese di industriali, non di commercianti. Sappiamo fare prodotti , meno venderli. Bravi loro a vendere prima di bruciarsi col cerino in mano. Meglio i soldi e qualcuno che svilupperà la tua creatura che avere il 100% di un’azienda che ti muore in mano“.
Milano Finanza parla di una valutazione dai 30 ai 35 mil€ per l’azienda.
Post scritto il 01/10/2015.
Ormai nel mondo del cibo italiano e sui media la notizia è diventata ufficiale: Gromart S.p.a. (controllante del marchio Grom) abbraccia la multinazionale olandese Unilever (proprietaria dei marchi Algida, Ben&Jerry’s, Cornetto, Carte D’Or).
Gli accordi fra le parti non sono ancora stati resi pubblici, ma Unilever ha rilevato la totalità delle azioni.
Pare che la gestione duale di Federico Grom e Guido Martinetti (maggiori azionisti di Gromart S.p.a.) continui (di solito accordi di non concorrenza durano 24 mesi) così come il reperimento di materie prime dall’azienda agricola MuraMura.
Tanto si è scritto su Grom e tanto si scriverà. L’avventura imprenditoriale torinese di Federico Grom e Guido Martinetti, partiti da un negozio di piazza Paleocapa e arrivati a gestire 67 gelaterie è dunque finita in quanto entità autonoma.
Come scritto prima, nulla si sa degli accordi fra il conglomerato olandese del Largo Consumo e la Gromart S.p.a. Ma si possono fare delle ipotesi. Unilever liquida Illy e i soci giapponesi e qatarioti. E per almeno 24 mesi i due soci fondatori dovranno continuare ad apparire gli uomini simbolo del marchio.
Senza provare a fare i conti in tasca ai soci di Gromart S.p.a., (nota: fra le banche d’affari e i fondi di private equity è prassi valutare un’azienda in base al multiplo del margine operativo lordo (in inglese Ebitda in italiano MOL) meno la posizione finanziaria netta) apprendiamo da MilanoFinanza che il MOL 2014 è negativo per 250.000€ e la posizione finanziaria netta è negativa per 5,5 milioni €. Gli olandesi hanno valutato il brand torinese tra i 30 milioni€ e i 35milioni€ inserendo probabilmente premi e bonus.
Ripetiamo, semplici ipotesi finanziarie fatte su un pezzo di carta. E che certo non rendono onore ad una bella storia imprenditoriale simbolo della generazione 30-40.
Gromart S.p.a. è, dopo 12 anni, un brand riconosciuto e riconoscibile ma con una quota di mercato risibile. Una ciquantina di gelaterie in Italia dentro un mercato di più di 30.000 esercizi.
Semplicemente l’abbraccio di Unilever significa ossigeno, e l’ossigeno è vita. Quella che fra dieci anni sarebbe semplicemente mancata per sempre.
Ancora una volta l’intelligenza e la visione del duo Grom e Martinetti hanno prevalso. Il loro “fiuto” e il loro istinto di sopravvivenza anche.
Il marchio può, da domani, svilupparsi su due direzioni precise: il retail commerciale (gelaterie in ogni dove sostenute dalla produzione, dalla logistica, dal franchising) e l’entrata dalla porta principale sugli scaffali della Grande Distribuzione Organizzata (all’estero e nel segmento premium).
Due direzioni che hanno bisogno di capitali e risorse umane. Quelle che Gromart S.p.a. non poteva avere autonomamente.
Sconfitta per l’Italia? Non direi, o perlomeno non del tutto. Unilever testimonia che tutti i suoi manager e laureati in marketing non saprebbero costruire un brand premium. E che quindi è costretta ad andarlo a trovare a Torino. Dall’altra parte, dimostra che probabilmente storie di sontuosa crescita come Ferrero o Lavazza sono, ad oggi, impossibili.
Mappano (Comune del torinese e sede dello stabilimento, ndr) e le risorse di Grom potranno trarre benefici dall’arrivo di una Multinazionale come Unilever. Si spera di non perdere questo treno.
L’exit strategy di Martinetti e Grom è simile a quella di tanti imprenditori della new economy. Cambia solo il nome del “pesce grosso”. Cosa faranno da grandi? Dopo un “teatrino” di un paio di anni, lasceranno l’azienda e veleggeranno (lo speriamo tanto) verso altre avventure imprenditoriali.
Sicuramente il loro know-how e coraggio è merce rara. Lo affermiamo con sincera ammirazione. Il “sistema” cibo italiano ha bisogno di altri “Grom”. Loro ci saranno?
Qui il duo spiega la cessione a La Stampa.
1 Comment
Per carità, tutto impeccabile…a parte quella sensazione di presa per il culo percepita da tutti i Clienti di GROM, che si sono fatti impapocchiare per anni con la menata del “chilometrozeroslowfood” come VALORE IRRINUNCIABILE del duo Gromm/Martinetti……approdati poi alla benpocochilometrozero Unilever. Che non c’è niente di male: basta non essere così poco autentici da spalmarsi di verde per ragioni di convenienza…. Aggià, ma ‘ste cose a Torino non è elegante dirle….ops…. 😉 😀