Stefano Scavino, astigiano, 32 anni, è il referente dei produttori del neonato Presidio del carciofo del Sorì che da qualche settimana, e fino ai primi giorni di giugno, è approdato sui mercati.
Carciofo del Sorì: perché si chiama così?
Il carciofo del Sorì deve il suo nome ai versanti collinari esposti a sud, che in dialetto si chiamano appunto sorì. Qui si coltivano le vigne migliori, ma, nell’area dell’astesana collinare, delimitata dal fiume Tanaro e dai torrenti Tiglione e Belbo, è anche l’habitat ideale del carciofo.
È una pianta rustica che si coltiva senza l’uso di pesticidi e con una fertilizzazione organica del terreno, associata – quando possibile – all’uso di colture di copertura. I capolini, ovoidali, allungati e senza spine, si raccolgono manualmente.
In cucina
Sono dolci e teneri al palato e si prestano a molteplici usi in cucina. Possono essere conservati sott’olio, fritti, cucinati nei risotti. Tuttavia il consumo a crudo è quello in cui esprimono al meglio le loro caratteristiche organolettiche.
Della pianta si consumano anche i gambi, le foglie e i carducci teneri e imbianchiti dall’inverno.
La storia del carciofo astigiano
Il rapido declino del carciofo astigiano è avvenuto dalla seconda metà del secolo scorso, principalmente a causa della raccolta tardiva. Infatti, i capolini del carciofo astigiano arrivano sul mercato quando le varietà meridionali sono a fine stagione e i prezzi di vendita sono troppo bassi per permettere ai coltivatori una buona remunerazione. E così, per oltre 50 anni, la coltivazione del carciofo rimane una coltura marginale per il consumo familiare.
La rinascita del carciofo del Sorì è cominciata circa sei anni fa quando un anziano orticoltore ha donato a Stefano Scavino e ad altri contadini i carducci che custodiva da decenni. Da lì l’impianto di nuove carciofaie e il coinvolgimento di altri produttori della zona tra Mombercelli, Costigliole d’Asti, Asti e Castel Boglione. Poi la crescita lenta e costante che ha rafforzato la produzione e allargato gli sbocchi commerciali, anno dopo anno.
A supervisionare la produzione dal punto di vista scientifico, anche un progetto di valorizzazione degli ecotipi piemontesi promosso dall’Università di Torino, dal Cnr e dalla fondazione Agrion con cui sono state selezionate le piante migliori.
Il Presidio Slow Food
Fino ad arrivare alla recente costituzione del Presidio Slow Food che permetterà a sei produttori di unire le forze e cercare nuovi mercati.
“La produzione non è grandissima, stiamo parlando di piccoli appezzamenti tra i due e i tre ettari in tutto. Il tipo di distribuzione è molto diverso: qualcuno vende in azienda e ai mercati, qualcun altro esce fuori regione per arrivare a Roma o addirittura a Londra. Sicuramente tutti insieme e con la spinta del Presidio avremo la forza di agire per far conoscere a quante più persone possibile il carciofo del sorì” afferma Stefano Scavino.
Le aree di produzione comprendono le colline astigiane delimitate dal fiume Tanaro e dai torrenti Belbo e Tiglione e alcuni comuni limitrofi, in provincia di Asti.