Caporalato e Barolo: una piaga, quello dello sfruttamento lavorativo, che non travolge solo le terre del Sud Italia. Anzi.
Non se ne parla certo da oggi, e già nel 2015 Slow Food pubblicava un’inchiesta sulle cooperative costituite da macedoni che “de facto” gestiscono il lavoro manovale in vigna. Macedoni che ovviamente non devono essere colpevolizzati come categoria, ma che ospitano nelle loro fila alcune mele marce che recano danno al mercato del lavoro e a molti lavoratori immigrati.
Sulle ragioni, anche noi di Eatpiemonte ne abbiamo parlato a lungo. E il 16 luglio ci sarà una manifestazione. Ma servirà a qualcosa?
Da quell’inchiesta di Slow Food sono passati 9 anni. E non è cambiato nulla. Se non inchieste ed arresti che però quando colpiscono alcuni caporali ed organizzazioni, non scalfiscono il sistema. Ed altri sfruttatori subentrano. Segno che la richiesta di manodopera sottopagata è necessità per molti imprenditori.
Il racconto fatto dai giornali sulle ultime vicende ed arresti sono, come sempre, da brividi.
Luca Monaco per Repubblica: Quando al mattino i carabinieri arrivano a sgomberare il tugurio a due passi dalla stazione di Alba, che uno stimato medico del posto affitta per 500 euro a brandina a 17 lavoratori stagionali, Demba è già salito sul furgone che lo porta in vigna. Il bracciante, 42 anni, originario del Gambia, è sbarcato 10 anni fa sulle coste della Sicilia. Poi in treno: su fino a Torino, quindi ad Alba.
Così, insieme agli altri forzati del Barolo, ha iniziato a farsi trovare alle sei del mattino davanti alla Caritas in via Pola, pronto a partire per i campi.
«All’inizio mi pagavano poco — ammette — cinque euro l’ora, poi ho imparato il lavoro, e con le cooperative non ci sono voluto più andare». Come lui tanti. Perché i braccianti lo sanno: «Molte cooperative sfruttano».
Adesso Demba condivide un mini appartamento alla periferia di Alba «insieme a un amico». Lancia un’occhiata alla facciata del tugurio sgomberato dai militari poche ore prime. Il proprietario l’aveva battezzato «affittacamere La Stazione». Ma era un inferno. Come la prigione degli schiavi del Barolo ricavata da Demirali «il macedone » al centro di Mango, un borgo di 1500 abitanti sulle colline del Moscato. Il caporale è finito ai domiciliari due giorni fa.
La casa di campagna è la sede di un’altra cooperativa gestita da una caporale macedone, una «maman del Moscato ». Un’altra prigione per migranti. Brandine in fila nel seminterrato, bombole di gas collegate alla caldaia e un gruppo elettrogeno per fare luce.
Le Langhe, dal vivo, sono così. Belle da togliere il fiato. Vini da capogiro, ristoranti stellati e panorami da cartolina.
Il rovescio della medaglia invece fa paura. Sono le bastonate inferte da Nabil, 39 anni, il caporale marocchino, a Lamin, il bracciante tunisino, colpevole di aver rivendicato una paga più alta dei miseri cinque euro concessi da molti ex braccianti, oggi caporali e titolari delle piccole imprese individuali iscritte alla Camera di commercio, tramite le quali vincono le commesse per i lavori tra i filari dalle 600 aziende agricole produttrici nelle Langhe.
«Nelle Langhe ci sono 16mila ettari di vigne, e negli ultimi 10 anni la superficie coltivata è aumentata del 12 per cento — spiega Tommaso Bergesio, il segretario provinciale della Cgil di Cuneo — Ciò richiede una maggiore quantità di manodopera, gli italiani non sono disponibili a lavorare. Ecco perché si pesca tra la popolazione migrante».
Le 600 aziende (400 producono Barolo) per reperire la manodopera si rivolgono a circa 2.000 cooperative censite dall’Istat nel 2023. Alcune di queste spremono i lavoratori.
«Il problema è tecnico, non economico — ragiona Sergio Germano, il presidente del consorzio del Barolo, Barbaresco, Alba Langhe e Dogliani — l’agricoltura è stagionale, se mi servono 15 persone per i tre mesi di vendemmia, non posso assumerli a tempo indeterminato ».
Ecco perché esistono le cooperative.
«Con Confcooperative — insiste Germano — abbiamo fatto una “white list” di almeno 10 realtà virtuose e certificate. Stiamo cercando di fare in modo che anche le altre si iscrivano alla lista».
Non sarà certo Demirali «il macedone » che ha minacciato di morte il sindaco di Mango.
«Mi ha detto: “Se ti impicci ti faccio fare una brutta fine” — dice Damiano Ferrero — ma era mio dovere “impicciarmi”, il caporalato è diffuso in tutte le Langhe». Chissà che i produttori non ascoltino almeno il Vescovo di Alba Marco Brunetti: «Il vangelo — avverte — ci impone di non tacere».