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La Silicon Valley sarà la nuova Food Valley?

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La Silicon Valley all’attacco del mondo del cibo? Siamo di fronte ad un cambio di paradigma anche nel mondo del cibo? E l’Italia sta monitorando questo trend?

Impossible Foods è una startup di Redwood (West Coast californiana) che ha come obiettivo la produzione di burger ottenuti da biomasse e non da allevamento animale. Fantascienza? No, il burger della Silicon Valley è già realtà e sperimentato in alcuni selezionati ristoranti americani (qui il form per diventare Chef-tester). Il fondatore Pat Brown (qui info di CrunchBase) ha raccolto 182 milioni$ da sette diversi investitori (fra cui Bill Gates). Quante aziende del cibo italiane possono contare su una cassa del genere?

Joshua Tetrick e la sua Hampton Creek producono invece maionese senza uova e impasti per torte (le uova sono sostituite con proteine contenute in una varietà di fagiolo rosso). Esperimento per pochi eletti? I loro prodotti sono già sugli scaffali di WalMart e Whole Foods.

Altro marchio è Beyond Meat, azienda che ricava dalle piante proteine che riproducono carni di vitello, pollo e bufalo (qui prodotti in vendita).

Usando i Bigdata, utilizzando la tecnologia, infine andando a finanziare il tutto con i Venture Capitalist la Silicon Valley punta a rivoluzionare il mercato del cibo. E, come sempre, vendendo al mondo la superiorità etica dei propri prodotti.

Silicon Valley

Sono lontani i tempi in cui Robert Rhinehart (l’inventore del Soylent) predicava la fine della cucina e del gusto.

Queste realtà riproducono, anche visivamente, carni e maionese e rispettano il “piacere” di addentare un burger o una torta. Ma lo fanno senza passare dalla filiera dell’allevamento. Andando incontro ai macrotrend vegetariani e vegani che stanno investendo la gastronomia occidentale. Visitando i loro siti si parla di prodotto, ricette e si cercano Chef. Nulla di estraneo al mondo del cibo come lo conosciamo.

Sono aziende con alle spalle investitori potenti, con liquidità e tempo per fare ricerche e sviluppo. In alcuni casi già distribuiti da colossi della Grande Distribuzione.

Allarme per il Made in Italy? Veramente la Silicon Valley potrebbe erodere quote di mercato al prodotto italiano negli Stati Uniti? Saremo di fronte a nuovi casi Uber o Airbnb ma declinati sul cibo?

Le aziende italiane hanno davanti due strade e alcuni vantaggi competitivi:

  • Innovare senza disperdere tradizione: il mondo sarebbe disposto a comprare maionese senza uova, ma se fosse italiana avrebbe più appeal. E probabilmente alla fine sarebbe volano anche per il prodotto tradizionale. Ma quante filiere (penso a quella del riso) sarebbero già pronte ora a sfornare prodotti salutisti?
  • Non perdiamo l’eticità dell’artigianato o dell’industria del “fatto bene”: aprire le fabbriche, aprire la filiera, riorganizzare il lavoro contadino. Queste le tre vie per rendere ancora più cool le nostre Food Valley;
  • Cibo e bellezza: la Toscana, il Piemonte, la Campania sono più belle di Redwood, con più storia e awareness alle spalle. Bisogna solo costruirci dietro una infrastruttura credibile;
  • Valore e non volume: non è un caso che queste startup agiscano in un mercato ormai palesemente insostenibile come il cibo in Nord America, stretto fra obesità, scarsa qualità e allevamenti intensivi. La produzione italiana, al contrario, deve mantenere ritmi produttivi adeguati ma creare valore e non volume. Bisogna occupare la fascia “Premium Food” in ogni mercato.

Il mondo del cibo sta dando importanti segni di cambiamento, sono pronti nuovi target. Starà alle aziende italiane essere della partita o non esserlo …



Dario Ujetto

Da adolescente senza computer a quasi quarantenne googleiano DOC. Ovvero: come passare dalla lettura del giornale cartaceo, alla scrittura di un blog in meno di un nano secondo. Ma mi occupo anche di marketing, cibo, libri e comunicazione.

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