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Lo sciopero Foodora di Torino sancisce ormai la sostanziale povertà del mercato del lavoro italiano. Potrebbe essere un’affermazione pessimistica, ma forse non lontana dalla realtà.

I Riders (fattorini) che hanno dato vita al primo sciopero Foodora contro la modifica unilaterale delle condizioni contrattuali hanno aperto un vaso di Pandora. E lo hanno fatto in solitudine, ovviamente lontani dalle sigle sindacali ufficiali.

L’interesse dei media nazionali sta aumentando, dal momento che si comprende che lo sciopero è il primo reale segnale dell’Italia che verrà nei prossimi 2/5 anni.

Un primo palese punto di evidenza è che i management delle aziende “liquide” della “sharing economy” o della “gig economy”, ben lungi dall’essere portatori di innovazione sociale, stanno facendo regredire le condizioni dei lavoratori. E lo stanno facendo senza neanche utilizzare la scusa della “crisi economica”, poichè dichiarano crescite dei ricavi a doppie cifre e valori da miliardi di euro.

Quando il Direttore Generale di Foodora parla di “secondo lavoro” o “lavoro da tempo libero”, giustificando in qualche modo l’aggiramento di regole o semplicemente della dignità del lavoro, comprendiamo ormai che il lavoratore italiano è “carne da cannone”.

Un semplice automa, facilmente sostituibile dalla moltitudine di altri studenti, immigrati, disoccupati italiani. Non è questa la promessa che ci aveva fatto la nuova economia, ma è la realtà che vediamo.

Rispetto ai loro omologhi londinesi e francesi (anche loro scesi in sciopero nei mesi scorsi) i lavoratori italiani di Foodora scontano anche l’arretratezza ormai cronica dell’Italia, paese incapace di innovare su larga scala e ormai schiavo della filosofia del “piccolo è bello”.

Valerio De Stefano, dalle colonne de Il Manifesto, centra perfettamente la questione:

Amazon o TaskRabbit chiamano i loro lavoratori «turchi meccanici», «conigli», «servizi umani». Perché questa disumanizzazione?
Non c’è una volontà di farlo perché si è cattivi o non si vuole riconoscere la loro umanità. È un modello organizzativo che va verso la disgregazione dei rapporti lavorativi: non si paga per il tempo che dai, ma per i lavori che fai. Al di là di questo le aziende non si assumono alcuna responsabilità. Questo è un modo di mercificare il lavoro: considerano il lavoro come una semplice attività in cambio di un compenso e lo considerano come un hobby. Il lavoro non è tuttavia separabile dalla persona che si può far male e non essere in grado di lavorare. In realtà non ha nessun rilievo l’idea che uno faccia un secondo lavoro. Non c’è nessuna relazione tra il motivo per cui uno si mette al lavorare e la tutela che si dovrebbe ricevere. Tutti vanno tutelati.

Questo approccio al lavoro trova in Italia terreno fertile. La politica è sempre più incapace anche solo di inquadrare che cosa sono la Sharing economy o la Gig economy, figuriamoci trovare soluzioni per limitare l’arroganza delle aziende. Dall’altra parte il Paese, come Portogallo e Grecia, sconta un ritardo cronico che ha portato al sostanziale impoverimento del potere di acquisto e al blocco della mobilità nel mondo del Lavoro.

Questa “tempesta perfetta” porta conseguenze visibili. Necessità di immigrati per coprire l’invecchiamento della popolazione (qui articolo), precarizzazione dei lavoratori più giovani, stagnazione di carriera e salario per i lavoratori assunti, sostanziale fuga di personale qualificato all’estero.

Tutto questo dietro uno sciopero Foodora? Sì. I “divergenti” di Foodora (copyright Huffinghton Post) sono probabilmente anche il seme del rinnovamento italiano. Forse l’ultima dimostrazione che l’Italia è oggi terra di conquista ma che il futuro è ancora tutto da scrivere.

Intanto lo sciopero ha portato valore. L’azienda ha sentito i lavoratori, ha avuto un danno di immagine nell’opinione pubblica e nei loro clienti primari (i ristoratori), e nei prossimi giorni sarà sicuramente costretta a rivedere le modifiche unilaterali delle condizioni lavorative.

Sitografia

– Articolo de Linkiesta;

– Articolo di Vice.com;

– Articolo di Giovanni Semi;

– Articolo Huffinghton Post.

Qui video Youtube sull’incontro sindacale di ieri:

(crediti fotografici: Huffinghton Post)



Tag:
Dario Ujetto

Da adolescente senza computer a quasi quarantenne googleiano DOC. Ovvero: come passare dalla lettura del giornale cartaceo, alla scrittura di un blog in meno di un nano secondo. Ma mi occupo anche di marketing, cibo, libri e comunicazione.

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