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Rapporto ROTA 2017: Torino in mezzo al guado

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Il Rapporto Rota 2017 (qui link) ha inquadrato, come ogni anno, la situazione reale dell’economia e del tessuto sociale torinese.

Si legge sul sito: “il Rapporto quest’anno si apre con l’approfondimento rispetto allo stato di salute del tessuto economico torinese, alla capacità delle imprese di produrre, creare lavoro e reddito, ma anche di esportare, innovare, dare vita a start up.

La seconda parte si occupa della capacità di tenuta del tessuto sociale, in particolare delle disuguaglianze e della capacità di risposta del welfare a bisogni di base, come la casa o la salute. Un nuovo corredo di mappe illustra le differenze socioeconomiche tra le varie zone di Torino e dei comuni della cintura”.

Il Rapporto Rota 2017 è l’ultimo dei numerosi lavori di ricerca del Centro Luigi Einaudi. Ogni anno, a seconda delle convenienze politiche, è utilizzato per attaccare l’avversario di turno o esaltare l’alleato e l’amico.

In realtà è uno strumento eccezionale per capire quale direzione sta prendenso l’area metropolitana torinese, in base non alle percezioni dei singoli ma a dati certi.

Presentato sabato 7 ottobre alla presenza degli autori, della politica e dei finanziatori ha dato luogo ad un dibattito non sempre sereno.

Per la prima volta anche noi eravamo alla presentazione, e non nascondiamo una certa preoccupazione per i dati del Rapporto Rota 2017 e le sue conclusioni, peraltro ribadite anche nelle precedenti edizioni.

 

Rapporto Rota 2017: Torino fuori dall’asse economico italiano?

Leggiamo nella premessa del Rapporto: “la crisi macroeconomica sta passando. Il PIL è tornato alla crescita, anche se con un passo che non si può considerar e soddisfacente.

Il Paese, la cui nervatura era rappresentata dallo storico triangolo Torino-Milano-Genova, si scopre con addensamenti diversi della rigenerazione dello sviluppo. Questa volta la ripresa percorre l’ideale «sette» che stilizza i luoghi di attraversamento dell’Alta Velocità italiana: una infrastruttura che ha notevolmente cambiato la geografia economica e che si è associat a al sorgere di nuova imprenditorialità”.

In estrema sintesi, il nuovo motore dell’Italia parte da Milano, tocca il Nord-Est e il Centro Italia. Torino arranca, ormai indietro anni luce rispetto all’attivismo di Milano, ma anche dietro il tessuto produttivo bolognese.

Leggiamo nelle conclusioni del Rapporto Rota 2017: “nell’area torinese, da parecchi anni, diminuisce
anche il numero di imprese, specie perché ne nascono meno; così, tra il 2008 e il 2016 Torino ha registrato il secondo peggior saldo tra tutte le metropoli italiane per la nati mortalità d’impresa.

Dopo avere retto nella prima metà di tale periodo grazie soprattutto a turismo ed edilizia, negli ultimi cinque anni oltre, di nuovo, al turismo l’unico comparto con trend positivo è quello dei servizi alle persone (imprese culturali, di pulizia, assistenza, sicurezza ecc.).

Nell’area torinese, poi, si contano ben poche società di capitali, ossia quelle più strutturate per stare sul mercato: da questo punto di vista, il capoluogo piemontese precede la sola Reggio Calabria”.

Un’altra conclusione importante è che, mentre gli imprenditori industriali sopravvissuti alla crisi aiutano l’export, mancano i grandi imprenditori del terziario avanzato. O sono troppo piccoli per incidere o non esistono proprio (o emigrano in altre zone).

Tutto questo ha allontanato Torino dal motore dell’economia italiana.

Rapporto Rota 2017: punti di forza di Torino

I punti di forza di Torino rimangono l’export industriale, la capacità di innovare e la presenza di un ecosistema favorevole alla sperimentazione economica.

“Segnali positivi per l’economia torinese vengono dall’export (che continua a tirare, specie grazie all’automotive verso Francia, Germania e Stati Uniti), dall’innovazione (con un rilievo crescente per l’
informatica), dagli investimenti in ricerca (nonostante la crisi) e dalle esportazioni hi-tech, benché i brevetti continuino a essere poi sfruttati soprattutto altrove.
Anche per la connettività a banda larga Torino è ben posizionata–terza metropoli italiana, dopo Milano e Bologna–pur patendo il ritardo complessivo del Paese rispetto al resto d’Europa (inoltre, a livello locale, le aree torinesi più debolmente connesse risultano proprio quelle a maggiore presenza manifatturiera, con buona pace dei progetti di sviluppo dell’Industria 4.0)”.
Torino rimane un’ecosistema non depresso, e mantiene il suo aspetto di laboratorio permanente ormai diventato il DNA metropolitano.
“Il maggiore punto di forza –come emerge da analisi contenute in questo Rapporto, ma anche in quelli degli anni scorsi – è probabilmente dato da un apparato organizzativo efficiente e, soprattutto, dal virtuoso mix tra pubblico e privato sociale (forse il migliore tra le metropoli italiane), in perfetta linea di continuità con la storia torinese”.

Rapporto Rota 2017: conclusioni

Smarchiamo subito la polemica politica. La Giunta Appendino, come testimoniato anche dagli autori, è fuori dal periodo temporale dei dati raccolti. Il trend descritto sopra è storico, legato a scelte del passato ma anche a situazioni di carattere macro e micro economico.

La nostra impressione da cittadini, è che la “leva debito” si sia utilizzata per creare infrastrutture e riconversione ma che i suoi effetti da moltiplicatore si siano scontrati contro lo scoglio crisi globale e contro scelte strategiche non sempre chiare.

Oltre alla politica, la responsabilità dei risultati positivi e negativi si deve però allargare alla platea imprenditoriale e culturale.

Se Torino fosse un’azienda, sarebbe in mezzo al guado e probabilmente sarebbe già stata acquisita da un fondo di investimento per sfruttare le sue potenzialità.

Nei prossimi 5/10 anni sapremo se Torino sarà un bel gioiello economico europeo o un’area depressa.

L’importante è superare la crisi di panico o lo storytelling di fassiniana e chiampariniana memoria, che forse ha ofuscato alcune menti.

“Di tali peculiari criticità torinesi, non sempre pare emergere oggi una piena consapevolezza (né tra i cittadini né tra i membri della classe dirigente locale), anche per l’effetto anestetizzante di una certa retorica autocelebrativa basata sulla parola d’ordine della «città migliorata» e su alcune ricorrenti e semplificazioni: le piazze-salotto del centro, le code di turisti ai musei, la movida, i trionfi della Juventus, il prestigioso Politecnico e (ultimamente un po’ meno citato) il successo olimpico del 2006.
Se è indubbia l’esistenza di tali punti di forza, il rischio è che diversi preoccupanti segnali di criticità sociali ed economiche moltiplicatisi negli anni vengano derubricati a «effetti temporanei» della crisi, a problemi «comuni a tutte le città», in tal modo esorcizzando le debolezze strutturali che gravano, spesso più che altrove, sul contesto torinese”.

Rapporto Rota 2017, dowload completo.



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Dario Ujetto

Da adolescente senza computer a quasi quarantenne googleiano DOC. Ovvero: come passare dalla lettura del giornale cartaceo, alla scrittura di un blog in meno di un nano secondo. Ma mi occupo anche di marketing, cibo, libri e comunicazione.

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