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Foodora (qui sito) è uno dei più brillanti esempi della nuova “sharing economy”.

Tecnicamente è un servizio di “food delivery” (consegna a domicilio del cibo) nato a Monaco di Baviera nel 2014, poi spostatosi a Berlino dopo l’acquisizione da parte del gigante Rocket Internet. In Italia, opera su Milano e Torino (qui altre info prese da Wikipedia).

Un servizio che punta, come altri campioni della “sharing economy”, a creare valore per centinaia di piccoli attori di una filiera (in questo caso i ristoranti) e per migliaia di clienti.

Guadagnando percentuali sull’atto di consegnare il cibo, crea valore per il ristoratore (pubblicità, terziarizzazione delle consegne a domicilio, servizio veloce e affidabile) e aumenta la scelta del consumatore che attraverso la app di Foodora può accedere ad una vasta scelta di menù (il mercato del food delivery vale 400 milioni€ in Italia).

Tutto bene? Sulla carta sì, in realtà no. Perchè nel dorato mondo della “sharing economy” esistono sempre persone che “materialmente” producono lavoro per far girare la macchina di Foodora. Nel caso specifico sono i Riders (fattorini) che vestiti di rosa consegnano in bicicletta il cibo ordinato via app.

Sul sito appaiono sorridenti, in realtà a Torino hanno dato vita al primo sciopero. Le condizioni in cui sono costretti a lavorare ricordano da vicino le ferriere di inizio Novecento.

Qui articoli del CorSera e di La Stampa sulle prime ripercussioni dello sciopero.

FoodoraMa lo sciopero torinese di Foodora è solo la punta dell’iceberg. I lavoratori precari delle consegne via bicicletta hanno dato vita al Deliverance Project (qui pagina Facebook) al fine di denunciare i casi di sfruttamento e precarizzazione dei lavoratori.

Qui parti del Comunicato stampa dei lavoratori Foodora:

Siamo i rider di Foodora. Le ragazze e i ragazzi che vi portano da mangiare con le bici e con i motorini, sia quando si muore di caldo sia quando piove a dirotto. Siamo quelli che a Milano e a Torino vedete vestiti di rosa.

Dietro i nostri sorrisi, i nostri “grazie” e i nostri “buona cena, arrivederci”, si cela una precarietà estrema e uno stipendio da fame. Le decine di chilometri che maciniamo ogni giorno, i rischi che corriamo in mezzo al traffico, i ritardi, la disorganizzazione, i turni detti all’ultimo momento, venivano ripagati con 5 miseri euro all’ora, mentre adesso addirittura vengono pagati 2,70 euro per ogni consegna effettuata, senza un fisso, con l’ovvia conseguenza che tutto il tempo in cui non ci sono ordini non viene pagato, quindi è a tutti gli effetti tempo regalato all’azienda.

A corredo di ciò a nostro carico ci sono pure la bici, lo smartphone e le spese telefoniche, gli strumenti essenziali del nostro lavoro.
Il nostro contratto è una sorta di Co.co.co fatto male, una forma contrattuale superata ormai da anni che definisce una collaborazione tra un’azienda committente e un libero professionista.

Tuttavia noi rider siamo a tutti gli effetti dipendenti di Foodora: costretti ad indossare la loro divisa, sottoposti a rapporti gerarchici, in balia delle loro decisioni e sottoposti a delle valutazioni per cui se non siamo accondiscendenti nei loro confronti ci vengono dati meno turni.

Non essendo ufficialmente dipendenti non abbiamo ferie, tredicesima, contributi, accesso ai sussidi di disoccupazione e soprattutto non abbiamo LA MALATTIA!!! Una misera assicurazione ci copre spese mediche per incidenti sul lavoro, ma se stiamo male e non possiamo lavorare, se ci facciamo male mentre lavoriamo e dobbiamo stare a casa, non veniamo pagati.

Tutto ciò è inaccettabile, perciò è da mesi che cerchiamo pacificamente e cordialmente di parlare con i responsabili di Foodora Italia, ottenendo in cambio solo grandi prese in giro. Di fronte all’ennesimo inasprimento delle condizioni di lavoro abbiamo deciso di aprire alla strada sindacale, chiedendo un incontro formale con i rappresentanti sindacali. Anche a ciò non ci è stata data risposta, anzi, hanno spacciato le nostre richieste di dialogo come tentativi di rivolta, arrivando a fare mobbing nei confronti di due promoter colpevoli di aver espresso la loro solidarietà, non assegnandole più turni e impedendo loro di lavorare. #foodoraETlabora #cipensafoodora

Non siamo esperti di Diritto del Lavoro, ma utilizzare finti liberi professionisti per poi utilizzarli come dipendenti de facto, ci pare la solita furbata italica (i tedeschi, si sa, imparano in fretta).

Scherzi a parte, la replica del Direttore Generale di Foodora Italia Gianluca Cocco (qui su La Stampa di Torino) verte su tre concetti:

– Il Riders di Foodora non è un primo lavoro, ma un secondo lavoro;

– Noi forniamo materiale e copertura assicurativa;

– Cresciamo del 50% e abbiamo necessità di razionalizzare il servizio dei Riders.

Noi non vogliamo attaccare personalmente Gianluca Cocco, che non conosciamo e che comunque invitiamo a contattarci per far conoscere meglio la posizione dell’azienda. Ma rileviamo che non ci sono regole diverse a seconda della qualità del lavoro. Le regole sono regole, sia per lavori da studenti sia per lavori stagionali sia per lavori regolati da Contratti Nazionali Collettivi.

In ultima istanza, la gestione “social” dello sciopero sui profili Facebook di Foodora è stata, per eufemismo, al limite della decenza. Commenti cancellati, censura, risposte agli utenti solo dalla domenica sera. Non proprio il comportamento di un’azienda che non ha nulla da nascondere …

Sotto il video del consulente Matteo Flora, ben più qualificato di noi nello spiegare le strategie social di Foodora.

Concludiamo il post con la promessa che seguiremo gli sviluppi della vicenda e di altre situazioni analoghe. Quella di Foodora ci sembra veramente una strategia di piccolo cabotaggio, attenta a comprimere costi anche di fronte a crescite dei ricavi a due cifre (peraltro detto da loro).

Perchè non considerare i Riders i primi ambasciatori del Brand? Quindi cercare di trovare un equilibrio salariale?

Aggiornamento del 10 ottobre 2016. Comunicato stampa.

La direzione aziendale di Foodora ha accettato di aprire un tavolo di trattativa in seguito alle nostre manifestazioni pubbliche di sabato 08 ottobre 2016 che hanno riscontrato successo e larghissimo sostegno dei lavoratori, dei cittadini e dei ristoratori convenzionati con il servizio.

Discuteremo le condizioni per un nuovo contratto a partire da questi punti imprescindibili:

-Retribuzione oraria fissa più bonus per consegna, di conseguenza ABOLIZIONE DEL COTTIMO

-Inquadramento in un contratto nazionale per tutti i rider e promoter, di conseguenza ABOLIZIONE DEL CO.CO.CO ILLEGALE

-Cessazione immediata e definitiva dei provvedimenti disciplinari contro i lavoratori in protesta, di conseguenza APERTURA DI UN CANALE DI COMUNICAZIONE ORIZZONTALE TRA DIREZIONE AZIENDALI E LAVORATORI

I rider di Foodora.

(crediti fotografici: La Stampa).



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Dario Ujetto

Da adolescente senza computer a quasi quarantenne googleiano DOC. Ovvero: come passare dalla lettura del giornale cartaceo, alla scrittura di un blog in meno di un nano secondo. Ma mi occupo anche di marketing, cibo, libri e comunicazione.

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