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Made in Italy all’estero: quale percezione?

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La CIA (Confederazione Agricoltori italiani) ha studiato la conoscenza dei prodotti italiani all’estero. Vedremo di seguito i numeri, ma anticipiano le conclusioni. C’è un lavoro enorme davanti al sistema cibo Italia ma anche una potenzialità immensa in termini economici e di occupazione.

Il Presidente CIA Dino Scanavino (imprenditore agricolo di Asti) lancia una bordata: “Non si può puntare solo sul ‘km zero’, stiamo relegando le nostre produzioni d’eccellenza alla vendita nei mercatini rionali. Ma questa strategia blocca un potenziale da 70 miliardi d’euro in export”.

I numeri di partenza del sistema cibo Italia sono:

5.847 prodotti tipici e con denominazioni di origine varia;

– 165 DOP, 118 IGP, 2 STG solo per il cibo, mentre il Wine vanta 405 DOP e 118 IGP;

– 13,4 miliardi€ (dati 2015) generati dalle sigle di cui 7,1 miliardi€ esportati. Quasi 37 miliardi€ di export totale.

Quindi tutto bene?

Non direi. Prima di continuare ad approfondire la ricerca di CIA, è bene porsi una domanda. Quanti italiani sanno la differenza fra DOP, IGP, STG, DOCG? Pochi. E se sono pochi gli italiani figuratevi statunitensi, francesi, tedeschi (questo è un vecchio cavallo di battaglia di Oscar Farinetti).

CIA ha scoperto che solo 200 prodotti (su 5.847) varcano i confini italici e finiscono sulle tavole estere. E solo il 10% delle esportazioni finisce negli USA.

Il Grana Padano è il prodotto più esportato (dati 2015) con 612milioni€ di valore. La Germania è il primo mercato di sbocco, seguito dagli USA e dalla Francia.

Nomisma va oltre, e con un focus sul mercato nordamericano conferma una percezione di qualità superiore verso il prodotto italiano.

Il sistema cibo Italia non è sicuramente in crisi, ma non sfrutta una potenzialità enorme:

– Le denominazioni devono essere una leva per gli operatori del settore, non uno strumento di marketing per i consumatori (internazionali). Il tedesco compra la Toscana e il Piemonte, le aziende e le storie. Non le sigle e i Disciplinari (che, fra l’altro, non conosce);

– Se il potenziale di export è veramente 70 miliardi€, si dovrebbe produrre meglio e con più valore. In questo modo si libererebbero risorse per investimenti in marketing e tecnologia. Creando ecosistemi ma senza intaccare la qualità;

– Cibo e Turismo, senza dubbio, sono due facce della stessa medaglia. Bisogna imparare a capire che un consumatore che mangia Italia sulla sua tavola è anche lo stesso che quando deciderà di andare in Francia o in Italia magari sceglierà noi…;

– Prodotto chiama prodotto, i best seller italiani possono essere volano anche per altri prodotti regionali. Basta creare “cluster” credibili;

– Piccolo non è bello, e questo campionato non si gioca da soli. Eataly e Autogrill devono essere le nostre due corazzate, ma nessuno può più permettersi di vedere con sospetto i loro scaffali. I mercati rionali ed iniziativa come “Campagna Amica” e “Mercati della Terra” sono meritorie ma poco adatti a sostenere export e comunicazione ai consumatori esteri.

QUI link all’articolo originale sul sito CIA.



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Dario Ujetto

Da adolescente senza computer a quasi quarantenne googleiano DOC. Ovvero: come passare dalla lettura del giornale cartaceo, alla scrittura di un blog in meno di un nano secondo. Ma mi occupo anche di marketing, cibo, libri e comunicazione.

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1 Commento

  1. Valerio Angelino C. 1 Ottobre 2016

    assolutamente concorde! Siamo all’anno “uno” in termini di capacità di fare sistema etd attività condivise coinvolgendo i vari attori protagonisti in funzione di azioni sinergiche a beneficio di tutti gli attori protagonisti. Io da Chef e pasticciere con importanti esperienze di attività di formazione e in eventi pubblici food ogni volta che mi presento alle aziende proponendo attività di comunicazione e collaborazione (a pagamento, scusate ma ch’ho da campare pure io!!!) per veicolare i loro prodotti negli eventi, ecc ecc mi sento sempre rispondere di no perchè “abbiamo i ragazzi delle scuole” (16enni a cui delegano la gestione della messa in pratica dei loro prodotti? già,…visto che non li pagano ovvio che li usano!), oppure…”No, abbiamo i volontari della pro-loco” (e qui eviterei qualunque commento per non cadere nel volgare),…oppure ancora,…..”No, facciamo da noi” (e quindi il laureato in marketing dell’ufficio comunicazione o il magazziniere dell’azienda che si infila il cappello ed il grembiule e spignatta nei vari eventi…). Conclusione? Soluzioni all’italiana, casuali e raffazzonate,…come sempre, quote di mercato che vengono sistematicamente regalate ad altri paesi salvo poi, di fronte agli impietosi fatturati in calo,….lamentarsi……

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